Material Love, la recensione: la rom-com (?) aggiornata ai tempi moderni

Rom-com o non rom-com? Questo è il dilemma con Material Love, il film diretto da Celine Song con Dakota Johnson, Chris Evans e Pedro Pascal in arrivo il 4 settembre nelle sale italiane.

Come si ama ai giorni nostri? Come si fa a trovare l’uomo o la donna perfetti? E, soprattutto, cosa rappresenta la perfezione odierna? Sono tutte domande che viaggiano di pari passo con Material Love, la pellicola diretta dalla candidata all’Oscar Celine Song (Past Lives). Il film ha come protagonista la combina-coppie Lucy (Dakota Johnson), donna ambiziosa e di successo con un grande talento nell’abbinare anime (o, per meglio dire, CV e conti in banca).

È infatti una delle matchmaker di punta dell’Adore, agenzia matrimoniale di New York, e come tale vede la vita attraverso lenti molto particolari, lenti che mettono a fuoco molto più facilmente i numeri dei sentimenti. Ma, dopotutto, è ciò che conta al giorno d’oggi: che aspetto hai, qual è il tuo lavoro, ma soprattutto, quanti 0 ci sono sul tuo conto in banca. Nulla di nuovo, direte voi… Eppure, Material Love in questo frangente fa un bagno nella realtà e mostra quanto, effettivamente, tutte queste caratteristiche ora siano più dominanti che mai.

È per questo che Harry, il personaggio di Pedro Pascal, è definito un unicorno: di bell’aspetto e con fascino da vendere, proviene da una famiglia benestante, lavora nella finanza e, naturalmente, è pieno di soldi. Contrariamente all’ex di Lucy, John (Chris Evans), che seppur anche lui più che prestante e di buon cuore, è invece sempre al verde, vive ancora con i coinquilini del college in uno sgangherato appartamento, e la sua carriera sembra aver preso tutt’altro che la giusta direzione.

La scelta tra i due – che ad ogni modo nel film vengono contrapposti unicamente in quanto tali, per cui non abbiamo risse che finiscono in melodrammatiche scazzottate o gare a chi ce l’ha più grosso – sembrerebbe quasi scontata per i dettami della società, almeno quella in cui Lucy crede di aver imparato a navigare al meglio. Eppure, man mano che si va avanti nella pellicola, il realismo inizia questa peculiare danza con l’idealismo e i sentimenti, e vicende interne ed esterne alla dinamica di coppia/triangolo mescolano ulteriormente le carte in tavola.

Hallmark incontra Sex and the City, ma entrambi vengono brutalmente a contatto con la realtà. Il mix che ne consegue, va detto, è a tratti vincente, a tratti alienante: non riusciamo fin da subito a creare una vera connessione con la storia (forse è proprio l’entrata in scena di John/Evans a mettere in moto il meccanismo di empatia necessaria a sentirsi più vicini a questi personaggi) e può volerci un po’ affinché la stessa Lucy inizi a farsi strada nei cuori degli spettatori. Ma ciò non rende meno d’impatto il lavoro di Song che, già da Past Lives, ci sta abituando a delle opere che fanno riflettere.

Nel bene o nel male, Material Love costringe a riesaminare le proprie relazioni, la propria idea d’amore e di connessione sentimentale, la propria vita di coppia e le proprie aspettative (nonché i criteri che vi applichiamo) e, perché no, anche a farsi un attimo un’esame di coscienza. E, magari, da quella sala ne uscirete anche con una risposta in grado di soddisfarvi, per quanto destabilizzante possa essere. O forse no, ma almeno il film ve lo siete goduto… Si spera.

Material Love è dal 4 settembre nelle sale italiane.

Laura Silvestri

Info
Titolo originale: Materialists
Durata: 116′
Data d’uscita: 4 settembre
Regia: Celine Song
Con:
Dakota Johnson, Chris Evans, Pedro Pascal
Distribuzione e Materiali Stampa: Eagle Pictures

Giffoni 55, Tim Burton presenta la nuova stagione di Mercoledì e incanta il festival

Tim Burton arriva a Giffoni per presentare la seconda stagione di Mercoledì e parlare a cuore aperto con i ragazzi.

È il 25 luglio 2025, fuori ci sono 36 gradi, e la cittadella è gremita di gente, ma non importa, perché l’ospite più atteso di questa cinquantacinquesima edizioni del Giffoni Film Festival è arrivato: Tim Burton.

Adoro il personaggio di Mercoledì. È una persona bella, forte, e ho voluto fare la serie per questo, perché ogni cosa che sente, che pensa, che vuole, la famiglia, la vita, la scuola… Concordo con tutto. La adoro, e spero possiate vedere molto di più di lei con la nuova stagione, molto di più della sua forza in quanto essere umano. Sperò vi piaccia!” esordisce il regista, in una sala colma di ragazzi dagli sguardi sognanti e con indosso le maschere di Mercoledì.

Quando lessi per la prima volta [la sceneggiatura] pensai fosse scritta per me. Sono un uomo adulto, ma mi sono sentito come un’adolescente Mercoledì, mi sono sentito come lei. Ho pensato ci fossero molte somiglianze con il modo in cui mi sentivo da giovane, e in cui continuo a sentirmi tutt’ora. Ha una personalità così forte e così individualistica. E in qualità di regista, è ciò che hai bisogno di essere: una persona a sé, una voce a sé. E devi continuare così” aggiunge poi, rispondendo alle domande del pubblico.

E rivela: “La Nevermore Academy è una scuola per outcast, ma Jenna e io condividiamo lo stesso odio per la scuola. Io odiavo davvero la scuola! Per questo motivo mi piace l’idea di una scuola per outcast. E Mercoledì è addirittura un’outcast tra gli outcast!”.

Ma cosa direbbe un regista di successo come lui al suo più giovane se stesso? “Non mi direi nulla, perché non sono granché nel comunicare!“.

E infatti, Burton continua a ripetere: “Mi sento molto fortunato. Mi è sempre piaciuto disegnare e creare cose, per questo dico sempre a tutti ‘Cosa ti piace fare? Se ti appassiona, fallo e basta’. E poi… Speri per il meglio! Ma penso che l’elemento chiave sia quello, la passione“.

E a proposito di passione, i ragazzi sono davvero curiosi di scoprire di più sull’artista in sala, idolo di generazioni. Così qualcuno indaga sulla sua opera preferita tra quelle da lui dirette… “Forse Vincent, il primo cortometraggio che ho girato, è il mio preferito. Perché quello che ha dato inizio a tutto. Non guardo spesso i miei film, in realtà, ma realizzarli, lo trovo magnifico. E quella è la mia parte preferita: non guardarli, ma farli“.

Alcuni non possono fare a meno di chiedere quacosa su uno dei collaboratori più celebri di Burton, Johnny Depp, e su come il filmmaker ebbe l’idea di ingaggiarlo per Edward Mani di Forbice: “La prima volta che decisi di ingaggiare Johnny Depp lo feci perché era come un attore dei film muti. Aveva questa immagine da teen star, ma non era davvero così. Era una persona molto diversa, in realtà. Si avvicinava moltissimo a quel personaggio, era qualcuno che veniva percepito in maniera diversa da ciò che era. Per cui per me fu perfetto per il ruolo di Edward Mani di Forbice“.

Mentre per quel che riguarda Lady Gaga, che vedremo nella seconda stagione di Mercoledì, ci dice: “Lady Gaga è un’artista straordinaria. Con lei ho girato Mercoledì, ma anche altro. È un’artista in grado di ispirare gli altri. Per cui sento una forte connessione con lei. E per me, è entusiasmante lavorare con un’artista che rispetto e ammiro. Non sono un musicista né una persona di musica, ma la ritengo una vera artista“.

Ma come ci si sente a essere una voce così distinta e distinguibile in un mondo dominato dai social? “Mi sento molto fortunato ad essere cresciuto in un ambiente diverso, precedente alla nascita dei social. Se fossi giovane ora, se mi toccasse crescere in questa era, non so se sopravvivrei a lungo. E infatti mi spiace molto per chi deve crescere in un mondo in cui sono i social media a farla da padrona. Per questo trovo sia importante far cose, creare cose, e non solo stare sui social” ammette. E aggiunge uno spassionato consiglio: “Quando vado sui social e leggo i commenti su di me, mi viene voglia di ammazzarmi. Le persone sono orribili! Non leggeteli mai!“.

Sono cresciuto guardando film, e amo così tanti registi. Ma da artista, posso essere ispirato da tante cose diverse” racconta “La gente mi chiede come ho fatto a diventare regista, ma non lo so nemmeno io! È un percorso così strano. Ho realizzato qualche cortometraggio, che poi è stato visto da gente… Ma ho solo iniziato a fare cose, non ho mai detto ‘Ok, da grande voglio fare questo’. Di nuovo, è stato molto bizzarro, e mi sento molto fortunato. Ma il mio consiglio è quello di capire qual è la vostra passione e iniziare a fare, e di fare del vostro meglio“.

E, prima di essere premiato da Claudio Gubitosi, conclude l’incontro con i ragazzi dicendo “ho sempre cercato di restare fedele a me stesso e a ciò che sentivo dentro. Bisogna seguire il proprio cuore e fare tutto quello che si può per realizzare qualcosa che abbia significato per noi“.

La seconda stagione di Mercoledì approderà il 6 agosto su Netflix con la prima parte, mentre per la seconda parte dovremo attendere il 3 settembre.

Foto e articolo di Laura Silvestri

Giffoni 55, Benji e Fede di nuovo insieme: il duo si racconta tra sogni e speranze (e Sanremo?)

Benji e Fede arrivano a Giffoni, dove sono ospiti del podcast Pezzi: dentro la musica di Luca Dondoni, Andrea Laffranchi e Paolo Giordano. Cosa avranno raccontato ai ragazzi?

Tra i tanti nomi che stanno popolando il Giffoni Film Festival in questi giorni, spunta anche quello di Benji e Fede, affiatati più che mai, e sempre pronti a scrivere un nuovo capitolo della loro vita musicale. Ospiti al podcast “Pezzi: dentro la musica” di Luca Dondoni, Andrea Laffranchi e Paolo Giordano, i due ragazzi non si nascondono di certo, e parlano di passato, presente e futuro con grande consapevolezza e maturità.

Sia io che Fede abbiamo passato tante cose insieme, oltre a un periodo divisi in cui son successe tante cose” esordisce BenjiFa parte della crescita: crescere comporta anche avere delle responsabilità diverse e affrontare il mondo, scoprire che il mondo non è proprio come ce lo si aspetta. Però sono questew le cose che poi ti fanno crescere, diventare adulto. E adesso che siamo ritornati insieme, ci siamo ricordati quanto è importante aiutarsi a vicenda” continuando a raccontare come l’onestà e la trasparenza sia alla base del loro rapporto d’amicizia come professionale.

Tant’è che uno dei “metodi” più efficaci per sfornare sempre pezzi migliori sembra essere il “lavoro di fino” voluto soprattutto da Fede: “Come mi rompe le palle lui su una canzone, nessun altro” scherza Benji, spiegando come però, con ogni nuova versione del brano, nota dei miglioramenti evidenti in un qualche aspetto.

Dedizione che i ragazzi vogliono dedicare anche al brano che, si spera un giorno, porteranno a Sanremo, dopo la “quasi” partecipazione dello scorso anno: “Proporremo una canzone molto autentica, molto nostra, e speriamo e vedremo se Carlo capirà questo viaggio” anticipa Benji. Dopotutto, spiega Fede, “penso da sempre che andare sul palco con la canzone sbagliata crei una disconnessione, disunisca le persone, e non vorrei incappare in quello“.

Ma in che senso sbagliata? “Noi non vorremmo andare a Sanremo con qualsiasi canzone pur di andarci. Come ha detto Fede, se hai la canzone sbagliata, che per quanto possa essere bella commercialmente, non ci direziona dove vogliamo veramente andare… Piuttosto che fare quello, preferiamo non andare. L’obiettivo è andarci con una canzone che ci rappresenti veramente e possa dare il via a una direzione musicale molto coerente” precisa Benji.

E dove vogliono essere tra 3, 4, 5 anni Benji e Fede? “Vorrei semplicemente, anche vivendo alla giornata, portare a casa qualcosa che forse, per la prima volta, sento visceralmente e sono sicuro che possa arrivare allo stesso modo alle persone. È un desiderio ambizioso, ma penso che, per come siamo fatti noi, sia l’unica possibilità per stare bene internamente e per essere coerenti con le persone che stiamo diventando” ammette Fede.

E per scoprire cos’altro hanno raccontato Benji e Fede al Giffoni, vi invitiamo a seguire l’episodio del podcast a loro dedicato su Spotify in uscita nelle prossime ore.

Foto e articolo di Laura Silvestri

I Fantastici 4: Gli Inizi, la recensione: primi grandi passi per la prima famiglia del MCU

I Fantastici 4: Gli Inizi è la nuova versione della prima famiglia Marvel targata MCU, e una piacevole visione carica di sentimenti nostalgici e profondità emotiva. Ma come ci si è arrivati? Lo abbiamo scoperto al Giffoni Film Festival.

Sono tornati: I Fantastici 4 sono di nuovo al cinema, approdando finalmente nel Marvel Cinematic Universe (ok, in un certo li avevamo già visti in Doctor Strange nel Multiverso della Follia, ma sappiamo tutti come è andata). Con I Fantastici 4: Gli Inizi – mostrato ai ragazzi in occasione del Giffoni Film Festival -, la prima famiglia di casa Marvel viene infatti totalmente e definitivamente introdotta nella macrostoria del MCU, anche se partiamo da un altro universo.

Quella che invero ci troviamo davanti per l’occasione non è Terra 616, alla quale eravamo abituati, ma Terra 828, dalle atmosfere retrò e nostalgiche (impossibile non pensare a WandaVision, altro prodotto Marvel di cui Matt Shakman, al timone della pellicola, è stato regista). Qui un gruppetto di quattro eroi già perfettamente collaudato ci viene mostrato prima nell’intimità della loro vita privata, poi con un esuberante montaggio inserito a mo’ di programma televisivo atto a celebrare il quarto anniversario del supergruppo.

Una origin story che dunque parte in medias res, senza tuttavia dimenticarsi di tenerci aggiornati su quanto accaduto in precedenza. Una formula che non solo funziona, ma che permette anche di non soffermarsi troppo su questioni non necessarie nell’immediato, e che volendo possono sempre essere riprese in futuro.

Ottima scelta poiché, con i suoi 115 minuti, I Fantastici 4: Gli Inizi ha altro a cui pensare: deve mostrarci il presente dei nostri eroi, impegnati a gestire non solo le sorti del resto del mondo, ma anche del loro piccolo microcosmo, che sta per cambiare dopo la notizia della gravidanza di Sue (Vanessa Kirby); deve stabilire una nuova mitologia, perché per quanto incasellato nel più grande MCU, di questo mondo senza gli Avengers sappiamo ben poco; e deve ovviamente introdurre un nuovo, grande nemico, Galactus, il Divoratore di Mondi (Ralph Ineson).

E fa piacere poter dire che la missione è stata compiuta con successo: Pedro Pascal, Joseph Quinn, Vanessa Kirby e Ebon Moss-Bachrach abitano bene i rispettivi ruoli, ed è possibile accorgersene sempre di più man mano che si va avanti con la pellicola. Arrivati all’ultima parte della storia, con loro ci si sente ormai davvero parte di una famiglia, e il sentimento che pervade lo spettatore è quello che porta a dire “Non vedo l’ora che interagiscano con il resto del MCU” (specialmente dopo la prima scena post-credit).

C’è un giusto bilanciamento tra scene “cosmiche” e “domestiche”, che non cozza affatto con il tono e le dimensioni del film, e anzi aiuta questa produzione a ritagliarsi uno spazio tutto suo all’interno di universo già colmo di personalità, e all’apparenza forse anche un po’ sovraffollato.

Sarà certo interessante vedere come in futuro verranno utilizzati questi personaggi (in particolare un paio) nell’economia del MCU, e che sfida rappresenterà la loro integrazione nel più grande progetto narrativo. Di certo, questo primo capitolo della storia dei Fantastici 4 non fa rimpiangere le precedenti iterazioni (e chi parla, contrariamente ai più, aveva apprezzato I Fantastici 4 del 2005), e fa ben sperare per ciò che verrà.

Per ora non si può che speculare con il reminder che I Fantastici 4 torneranno in Avengers: Doomsday, senza poi dimenticarsi la post-credit de I Thunderbolts*

I Fantastici 4: Gli Inizi è ora al cinema.

Laura Silvestri

Info
Titolo originale: Fantastic 4: First Steps
Durata: 115′
Data d’uscita: 23 luglio
Regia: Matt Shakman
Con:
Pedro Pascal, Vanessa Kirby, Joseph Quinn, Ebon Moss-Bachrach, Ralph Ineson, Julia Garner
Distribuzione e Materiali Stampa: The Walt Disney Company

Giffoni 55, Antonio Manetti: “Fate, studiate e ricominciate a sognare!”

Antonio Manetti incontra giovani aspiranti attori e registi al Giffoni, mentre la kermesse ospita la proiezione di una delle più recenti opere dei Manetti Bros., U.S. Palmese.

Il 22 luglio a Giffoni approda “una metà” dei Manetti Bros., Antonio Manetti, che durante l’incontro con i Giffoners, in particolare coloro che aspirano a una carriera nel mondo del cinema, ha raccontato un po di sé, della sua vita professionale, e del rapporto con suo fratello Marco, con cui collabora da anni per confezionare sempre nuove, accattivanti storie per piccolo e grande schermo.

Siamo due fratelli cresciuti insieme. Abbiamo due anni di differenza, e avevamo una sola camera da letto dove dormivamo insieme fino alla maggiore età. In questo periodo di convivenza totale, era impossibile non legare: stessi amici, stessi interessi, stessi riferimenti culturali… La parte delle arti l’abbiamo condivisa proprio totalmente. Stessi dischi, stessi concerti, stessi fumetti e, soprattutto, i film. Quella è forse la passione che ci ha unito di più. Registravamo tutti i film che passavano in TV” spiega Antonio, rispondendo alle domande dei ragazzi su come sia nato e su come funzioni il rapporto lavorativo con il fratello, aggiungendo poi che tutto partì da dei corti cinematografici. “Marco cominciò a fare la gavetta nel mondo del cinema, mentre io iniziai a scrivere un corto. Una volta tornato da un viaggio, Marco scoprì questo corto che stavo scrivendo e la mia volontà di lavorare nel suo stesso mondo, e disse: ‘Bello, conosco un produttore… Perché non lo realizziamo insieme?’“.

Dopotutto, rivela, a loro basta raccontare storie, e anche se tra fratelli non sempre si va d’accordo, non hanno mai problemi di “competizione” nel lavorare insieme. “La meta è la stessa. Certo abbiamo caratteri diversi, modi diversi, a volte anche i gusti sono diversi. Per questo noi sul set ci dividiamo totalmente. Abbiamo deciso piano piano, ma in maniera molto spontanea, che ognuno di noi fa qualcosa di specifico, anche se all’occorrenza possiamo darci ovviamente una mano a vicenda. Io per esempio sono operatore di macchina, che ho imparato a fare già dai tempi dei video musicali. Mentre Marco è quello che mette in scena con gli attori, fa le prove con loro ecc.“.

E per chi vorrebbe seguire le loro orme e aspirare a una carriera da regista, Antonio ha qualche consiglio? Sì, ma a quanto pare nel corso del tempo la sua risposta a questa domanda, che a lui e al fratello è stata posta tante volte, è un po’ cambiata: “A questa domanda diventa sempre più difficile rispondere per me. Perché quando noi abbiamo iniziato, giravamo ancora in pellicola. Poi è nato il digitale, quindi abbiamo iniziato a girare in digitale. E adesso si gira in digitale, tranne quei tre o quattro registi che un po’ se lo possono permettere, un po’ fanno una follia da artisti… E quando è nato il digitale, eravamo tutti un po’ spaventati. Per cui il consiglio che davamo era ‘Fate! Non aspettate! Non provate ad aspettare se vi convince tutto nei minimi dettagli, se avete i mezzi, fate! Avewte questa fortuna, prima con la pellicola non si poteva tanto fare, ma ora… Ed è un palestra, più si fa, più si diventa bravi’. E poi, così si poteva vedere se davvero si voleva perseguire una carriera che è molto difficile. Provare a farlo, era un modo di capire se ti piaceva veramente“.

Adesso però i tempi sono cambiati, e anche i mezzi: “Oggi però che dico ‘Fate!’, già fanno tutti. Ci sono i telefoni, c’è TikTok, c’è YouTube… Chiunque gira ormai, no? Quindi un consiglio che mi sento più di dare, anche se mi sento vecchio a dirlo, e vado quasi all’opposto: Studiate! Forse sì, bisogna un po’ studiare, dato che fare è diventato più facile, tutti lo facciamo con la nostra ‘videocamera in tasca’. E studiare non vuol dire solo fare, pagare, andare a scuola, cambiare città, che comunque aiuta tantissimo a entrare in questo mondo. Per me studiare vuol dire vedere film, analizzarli, capirli, anche quelli che non ti piacciono. Sforzarsi ad ampliare i propri orizzonti. Oltre, ovviamente, al fare!“.

E Antonio, venuto a ritirare anche per conto di suo fratello il Premio Truffaut, ha poi fatto un salto anche qualche minuto prima della proiezione del loro film del 2024 U.S. Palmese, una commedia girata in Calabria con protagonista Etienne, un grande campione di calcio che sta attraversando un periodo complicato “e quindi non sogna più” spiega Manetti e Don Vincenzo, un anziano appassionato di calcio che chiede soldi al paese per portare questo campione nella squadra locale “e che quindi sogna. Per cui il nostro film vuole essere un messaggio di speranza per i giovani, per dirvi, almeno metaforicamente, di ricominciare a sognare tramite questo rapporto tra i due, cioè un anziano che continua a sognare e un giovane che non sa più come sognare“.

Foto e articolo di Laura Silvestri

Giffoni 55, BigMama: “Ci vorrebbe maggiore empatia per rendere il mondo un posto con più luce”

BigMama torna a Giffoni per parlare con la stampa di cio che è, è stato, e che sarà, e lo fa con il suo caratteristico carisma.

Al Giffoni Film Festival non si parla solo di cinema, ma c’è spazio per l’arte tutta, e la musica non fa certo eccezione. E se guardiamo al panorama musicale nostrano, c’è una cantante che con il Giffoni ha davvero un rapporto particolare.

Marianna Mammone in arte BigMama, ospite della kermesse il 21 luglio, esordisce in conferenza stampa raccontando il suo forte legame con il festival: “Per me Giffoni rappresenta una delle tappe più importanti della mia vita, sicuramente la prima in assoluto, perché il mio primo concerto l’ho visto a Giffoni: era il film festival del 2013 e c’era questo concerto di Ensi, Clementino e Salmo. All’epoca non ascoltavo quel genere di musica, sentivo più pop inglese (ascoltavo i One Direction!) mentre il rap lo sentiva mio fratello, e anzi gli chiedevo sempre di toglierlo quando lo metteva” racconta “Però mia madre mi disse che mio fratello da solo al concerto non ce lo mandava, per cui andai anche io. Ma durante il concerto io rimasi assuefatta da quello che vedevo… Per me c’è un prima e un dopo quel concerto. Tornata a casa, il giorno dopo, mi misi a vedere a ripetizione i video che avevo fatto sul cellulare, soprattutto quelli di Salmo. Lui diventò il mio idolo, e lo è ancora, e lo ascolto anche tutti i giorni. Il modo di scrivere nei suoi testi la rabbia che aveva, il modo in cui era capace di buttarla fuori – e io avevo bisogno di buttare fuori molta rabbia – mi ha insegnato e mi ha spinto a scrivere“.

Oggi la rabbia c’è sempre, ma non è più così nociva per la mia mente come lo era una volta. Prima la rabbia la riversavo tutta su me stessa, punendomi in un certo senso, ma ad oggi non la provo più nei miei confronti. Cerco di non riversarla su nessuno. Ok, sono arrabbiata per i fatti miei, ma questa cosa non avrà nessuna ripercussione né su di me, né su chi mi circonda. E credo che questo sia il modo più giusto per provare emozioni forti come la rabbia, che sono difficili da trattenere. Da un certo punto di vista, è cambiato proprio il mio approccio nei confronti di queste emozioni, e la canzone ‘La Rabbia non ti basta‘ ha voluto proprio mettere un punto: nel senso che non devi arrabbiarti con te stessa, perché quando vuoi fare una cosa alla fine pian piano ci riesci. E riuscire a portare questo messaggio sul palco più grande d’Italia per me è stato fondamentale; è stata una carezza alla Marianna bambina che ha dovuto sopportare quello che ha sopportato e una carezza alla Marianna di oggi che aveva bisogno di quel palco e che aveva bisogno di far ascoltare la propria voce”.

Ma, aggiunge, “la Marianna di adesso si rende conto che tutto questo non è bastato, nel senso che abbiamo fatto dei passi avanti, soprattutto in quel periodo, ma una volta caduta quell’immagine che loro volevano vedere di una donna spezzata che aveva avuto la sua rivincita romantica, e hanno visto invece una donna che ha il coraggio di fare quello che vuole e di essere se stessa… Questa cosa gli ha dato molto fastidio. E lì ho capito che forse devo fare molto, molto lavoro” ricordando la volta in cui a un concerto si presentò, invece che come “la ragazzina bullizzata”, da donna consapevole e, scandalo degli scandali, con un costume di scena in cui si vedevano le gambe (tra l’altro, precisa, quelli erano in realtà leggings color carne).

Dopotutto, la vita di questi tempi non è facile per nessuno: “In questo preciso momento stiamo facendo leva sul potere che ha l’odio. Tutta la politica del momento adesso è basata nell’effettivo sull’odio, e arriva molto forte anche qui. Me ne rendo conto anche dalle cose più piccole, come chi utilizza l’odio sui social, e dalle cose più grandi, come chi preferisce non votare o ha degli schieramenti tutti strani e particolari” spiega “Penso però che il mondo prima o poi avrà il suo ricambio, e che dopo ogni periodo buio ci sia sempre un periodo di luce. E quindi sono sicura che fare leva sulle nuove generazioni in questo modo, i ragazzi che hanno tanto da dire, è qualcosa che un domani porterà ad avere un mondo sicuramente migliore, soprattutto dal punto di vista dell’empatia, perché è quella che manca“.

Quindi secondo me diventare, anzi, ritornare umani – perché umani purtroppo ci si nasce, ma poi se prendi le strade sbagliate si diventa altro – è possibile nel momento in cui da genitore riesci a passare ai tuoi figli un qualcosa che abbia senso, a insegnare il rispetto, l’amore, l’empatia“.

Ma cosa c’è nel futuro di BigMama? Magari uno stint da conduttrice? “A me piace tantissimo uscire un po’ dalla mia comfort zone. Ormai nella mia testa dico ‘Sì le canzoni le so scrivere, ma voglio vedere cos’altro so fare!’. E la cosa bella – e per questo ringrazio anche chi mi ha chiamato a fare trasmissioni in televisione – è proprio il fatto che accettano il mio modo di essere spontanea. Cioè io proprio prendo il copione e faccio ‘Ok’, e lo butto. Mi piace andare a braccio, perché sono più naturale, e quella cosa mi rende più me. Marianna è quello, capite, e se fossi più costruita forse farei altro nella vita. Per cui la televisione mi intriga tanto, e anche quando ho fatto l’esperienza dell’Eurovision, io mi sono divertita dal primo giorno all’ultimo, per me è stato bellissimo. Quando sono arrivata a Basilea sembravo una bambina al luna park. Sono strafelice, e questa cosa si deve vedere. Anche perché è un po’ un grande tratto distintivo della mia generazione, siamo caotici, ed è bellissimo da vedere“.

Sto progettando di fare cose nuove, perché è un mondo che vorrei scoprire di più però la mia priorità è rimanere nella musica, per cui c’è un momento in cui devo scrivere e fare concerti, e poi quando ho più tempo, come quest’anno che ne ho avuto modo, ho detto ‘Andiamo in televisione e vediamo come va’. E devo dire che è andata bene, quindi ora mi dovrei fare tipo 6 mesi da una parte e 6 dall’altra… E in vacanza? Mai!” conclude scherzando.

Foto e articolo di Laura Silvestri

Giffoni 55, Toni Servillo incontra i ragazzi: “Diventare umani significa condividere un tempo”

Toni Servillo fa tappa al Giffoni Film Festival per incontrare i ragazzi e ricordarci, richiamando il tema scelto per la manifestazione per quest’anno, di essere tutti un po’ più umani.

Toni Servillo incontra i ragazzi a Giffoni 55

Quando sei Toni Servillo, non sono necessarie molte presentazioni… E infatti, i ragazzi del Giffoni sapevano benissimo chi si trovavano di fronte quando, il 21 luglio 2025, hanno riempito le poltroncine della Sala Truffaut e hanno rivolto la loro curiosità alla vita, al pensiero e alla carriera dell’interprete di Jep Gambardella.

E proprio rispondendo a una domanda su un film di Paolo Sorrentino, L’Uomo in Più, Servillo ne approfitta per rimarcare non solo la grande stima nei confronti del regista de La Grande Bellezza, con cui ha ormai collaborato più e più volte, ma anche l’importanza di avere dei valori.

Nel suo film d’esordio Paolo Sorrentino manifestava già in maniera evidente questo interesse che lui ha nel raccontare dei personaggi colti nel momento in cui stanno per raggiungere il successo e poi conoscono il declino” spiega.

E riallacciandosi a quanto accade ai personaggi del film, aggiunge: “È molto importante coltivare dei valori, farli propri, e soprattutto poi diffonderli nella società. In questo momento così terribile che attraversiamo soprattutto la vostra generazione, ma anche la mia naturalmente, deve farsi carico di un valore fondamentale che è la vita. Perché da tanti punti di vista la vita viene oltraggiata, viene messa in pericolo, non si dà il diritto alla vita. Si uccide per poco o per nulla, vittime innocenti di qualcosa che sta al di sopra di loro e pagano con la loro vita. Questo è un disvalore. Il cinema deve raccontare anche questo, non può raccontare solo delle buone favole. Forse probabilmente proprio perché si rafforzino certi valori è necessario raccontare come questi valori, a volte, nella vita, vengono vilipesi”.

Un discorso che va a nozze con il tema di Giffoni 55, “Becoming Human – Diventare umani“. Ma come fare? “Questa palestra per diventare umani io la devo tutta alla mia esperienza soprattutto teatrale” rivela.

Il teatro è una delle ultime esperienze di spettacolo che è totalmente affidata a una condivisione umana; a uno spazio e a un tempo condiviso che è umano; a uno sforzo fisico e intellettuale, a una concentrazione che è umana” spiega poi “Anche le prove mettono alla prova la tua capacità di essere umano, di poter condividere difficoltà, ambizioni, gioie, frustrazioni, fallimenti, successi… E questo lo fai nel periodo in cui provi uno spettacolo. Nel tempo, con queste persone condividi un’esperienza profondamente umana. Esattamente il contrario del condividere delle esperienze nell’abisso di uno schermo. Diventare umani significa condividere anche un tempo“.

E a proposito di condividere tempo ed esperienze, proprio sulla collaborazione con il già citato Sorrentino, con cui ha appena finito di lavorare a un nuovo film, non saprebbe dire cosa la rende così unica: “Abbiamo appena girato il settimo film insieme, e ci divertiamo molto a non darci una risposta a questo [quesito], perché se dovessimo farne un ottavo, dovremmo mantenere questo mistero!“.

Una volta un produttore cinematografico, un amico, ha usato un’espressione che io ho fatto mia perché la trovo molto giusta… Ha detto che ci siamo fatti del bene reciproco. Il che sottolinea che più che una relazione professionale, ormai, è una relazione umana. Io gli devo molto, e lui sicuramente deve qualcosa anche a me. Ma io gli devo moltissimo perché, pur non essendo stato il regista con cui ho fatto il mio primo film, è stato il primo regista che mi ha offerto l’opportunità di interpretare un protagonista a tutto tondo. Perché è uno straordinario sceneggiatore ancor prima di essere un grande regista, uno straordinario dialoghista, e la sceneggiatura e i dialoghi per un attore sono essenziali, sono la prima cosa“.

Davvero non lo so” ammette, continuando nella sua disamina “Perché se lo sapessi, significherebbe che abbiamo quella formuletta che applichiamo ogni volta in maniera automatica, e questo sarebbe molto triste. C’è qualche cosa di misterioso. Evidentemente lui sente che io ho una certa docilità nell’adattarmi al suo universo. Qualche volta ha detto che mi considera un suo fratello maggiore. Ha scritto un film in cui interpreto addirittura suo padre. Ci vogliamo molto, molto bene, e ogni tanto sentiamo la necessità di soccorrerci l’uno con l’altro, lui facendo il regista e io l’attore“.

E prima di ricevere il Premio Impact 2025 dalle mani di Claudio Gubitosi, ideatore, fondatore e direttore del Giffoni Film Festival, Servillo rivela ai ragazzi che aspirano a diventare attori di non considerare la recitazione come una carriera: “Non ho mai pensato che questa fosse una carriera. Quando avevo la vostra età, non credevo che questo sarebbe stato il mio lavoro. Capita da ragazzi di coltivare il sogno della scrittura e si tiene un diario, o di comprare un album da disegno e cominciare ad esercitarsi per dipingere. Capita di avere un microfono e mettere su una band con gli amici. Ma io sono stato proprio ferito dalla scoperta del teatro, e ho cominciato a fare teatro a circa 17 anni, con dei compagni di scuola, con cui ho formato la mia prima compagnia. Ma quando dicevo che non pensavo fosse una carriera, l’ho fatto con assoluta libertà, senza aspettarmi niente, perché credo che questa sia una spinta essenziale per fare questo lavoro. Non va interpretata come un’occupazione, perché la società non ti chiede di fare questo. Devi essere tu a scoprire nel tempo se hai un talento, e se questo talento ha qualcosa da dire agli altri che serva agli altri. Questo lo si scopre piano piano. Ma immaginare già che diventi subito un’occupazione con una retribuzione, che diventi un posto… Mi rendo conto che quando ho iniziato io tanti anni fa il mondo era un posto piuttosto diverso, e oggi in tutte le cose è entrato in maniera prepotente, a gamba tesa, il mercato. Per cui tutto costa qualcosa, tutto va venduto. Ecco, chi vuole fare queste cose, secondo me, parte col piede sbagliato“.

E in conclusione, afferma: “Oggi vogliono renderci piatti e farci credere che la finzione di certi orribili “reality” sia vera. L’attore, invece, è l’antitesi di questo: lavora sulla finzione per ottenere la realtà“.

Foto e articolo: Laura Silvestri