C’Era Una Volta A… Hollywood – Il Racconto Della Conferenza Stampa

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Estate 2019.

Roma, 3 Agosto. È un sabato caldo e assolato. Nei pressi del Cinema Adriano, in Piazza Cavour, sono ancora visibili i postumi della Premiére di un film Hollywoodiano, uno di quelli che si è disposti a stare lì ad aspettare già dalla mattina, sotto il sole cocente, fino alla sera, sotto alla pioggia estiva, fugace ma battente.

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Un po’ come era andata il giorno prima, quando centinaia di persone hanno condiviso per ore un posto dietro le transenne per poter avere la propria, piccola (si fa per dire) Hollywood personale, e hanno atteso l’arrivo di alcuni dei più grandi nomi del cinema mondiale, venuti qui nella Capitale per presentare il loro ultimo sogno su pellicola: C’Era Una Volta A… Hollywood, in uscita il 18 settembre nelle sale italiane.

E di sogno si tratta se, pubblico o stampa, davanti a sé ci si ritrova poi un gruppetto formato da Quentin Tarantino, Leonardo DiCaprio, Margot Robbie, David Heyman e Shannon McIntosh.

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E così, verso mezzogiorno e mezzo del penultimo dì della settimana, ecco regista, attori e produttori prendere posto dietro i microfoni per quella che sarà la conferenza stampa romana del film.

Prime domande della giornata rivolte ai due produttori della pellicola, Shannon McIntosh, già collaboratrice di Tarantino in altre occasioni, e David Heyman, celebre produttore delle saghe del Wizarding World (Harry Potter, Animali Fantastici).

Parte la McIntosh, in riferimento al rapporto regista-produttori: «È un viaggio fantastico. Ogni volta che ti propone qualcosa da leggere, ti fornisce uno script alto tanto [mostra quanto con le mani], lo leggi, e sai già che sei pronto a imbarcarti per la tua prossima avventura. Lui  ti mette davanti sempre a tanta avventura e divertimento, così quando leggi la sceneggiatura non puoi che pensare “Ma come faremo tutto questo?”. Allora provi a estrapolare ogni parola, inizi a cercare le location, a immaginare come fare affinché la sua visione si concretizzi e la magia possa divenire realtà. È un’esperienza magnifica».

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Anche a David Heyman, che di portare la magia sullo schermo decisamente se ne intende, viene chiesto di condividere la propria esperienza al fianco del regista. «Privilegio, è la prima parola che mi viene in mente per descriverla. Ho avuto la fortuna di lavorare con dei registi meravigliosi nel corso della mia carriera, ma questa è stata davvero un’esperienza unica. Quentin è un maestro della regia: ha il controllo di ogni singolo aspetto della produzione; quando leggi i suoi script, sono così dettagliati, che è come se avessi le scene davanti agli occhi. E poi le vedi davvero prendere vita con questa incredibile famiglia, davanti e dietro la cinepresa. La sua attenzione per i particolari, la sua inventiva senza fine, e allo stesso tempo la facilità con cui crea un’atmosfera di eccitazione, di possibilità e inclusività… Ho lavorato con molti registi che creano attraverso il dolore, ma Quentin crea attraverso il piacere. È stata davvero una delle più belle esperienze della mia carriera».

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Il microfono passa a uno dei protagonisti del lungometraggio, Leonardo DiCaprio, che sullo schermo veste i panni di Rick Dalton, grande nome della Hollywood anni ’60 dipinta nel pittoresco mondo creato da Tarantino. Ma come è stato interpretare questo personaggio che si trova in un momento della sua carriera che non è dei più alti? «Prima di tutto, la sceneggiatura di Quentin è stata assolutamente brillante nel dar vita a questi due personaggi e al rapporto tra di loro; uno stuntman e un attore che osservano dalla periferia di Hollywood, che guardano questa cultura, questa industria che sta cambiando, e cercano allo stesso tempo di sopravvivere al suo interno» racconta l’attore Premio Oscar «Ma quello che era più interessante del suo approccio è che si trattava di uno scorcio di vita, un paio di giorni. E credo che una delle conversazioni iniziali tra me e Quentin fosse tutta sul come fare per ritrarre l’anima di questo personaggio in un così stretto lasso di tempo. E molto aveva a che fare con il mio personaggio [Rick Dalton] alle prese con un ruolo in uno show a cui non voleva esattamente prender parte, un ruolo da villain, sentendosi come se fosse stato messo lì per facilitare il lancio della nuova generazione di attori, mentre lui veniva lasciato indietro. Così il nostro processo creativo si è incentrato sul cercare di realizzare quei momenti, quei dettagli che avrebbero potuto dare davvero al pubblico quel pathos, l’essenza di quest’uomo. E questo ha dato vita a tutti quei pezzetti in cui si impiccia con le battute, dà di matto nei camerini… E questa idea che il personaggio potrebbe essere bipolare, e che possa soffrire d’ansia, per via del fatto che alla fine è un essere mortale, e che la cultura e l’industria stanno andando avanti, nonostante tutto».

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Ma che effetto fa ritrovarsi all’interno di serie e film che hanno segnato un’epoca e ora non ci sono più? «Uno dei privilegi dell’essere un attore è quello di essere esposti non solo ad argomenti che padroneggi e con cui hai una grande familiarità. Come penso sappiate tutti, Quentin è un vero e proprio cinefilo. Ma non è solo questo, lui sa anche tantissime cose sulla televisione e sulla musica, quindi ho avuto l’opportunità di essere esposto a un’era, quella degli anni ’50 e ’60, piena di serie e film pulp sui cowboy, film che non avrei probabilmente visto, ma lui ha un tale rispetto per queste pellicole, lo stesso che abbiamo tutti nei confronti di quelli che consideriamo dei capolavori. E abbiamo preso ispirazione da diversi attori per questa parte, ma ce ne è stato uno in particolare, Ralph Meeker, ed è stato fantastico vedere il rispetto di Quentin per questo attore che io non conoscevo bene, e che molte persone probabilmente non ricordano bene. Ma abbiamo guardato alla sua carriera, alla sua filmografia, con il rispetto e la voglia di scoprire come qualcosa del genere sia stato poi dimenticato nel tempo, e quale sia stata la base di quel declino creativo. E potrà anche non aver avuto tutti i ruoli che desiderava, ma ha comunque dato il suo contributo al cinema e alla televisione. Che è qualcosa che lui stesso potrebbe non aver realizzato».

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E a che punto del suo percorso professionale pensa di essere Leonardo? «Sono cresciuto guardando film, e non penso che riuscirei ad ottenere quello che sono stati in grado di ottenere i miei eroi. Perciò cerco continuamente di migliorarmi, di lavorare a film sempre migliori, di interpretare personaggi migliori, di fare tutto ciò che in mio potere per cercare di raggiungerli, perché loro hanno fatto così tanto, e non credo di potermi mai sentire alla loro altezza».

 

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Che effetto fa vedere delle storie così lontane nel tempo, come quelle storie che sono state riportate in vita in C’Era Una Volta A… Hollywood? La domanda è rivolta al trio DiCaprio-Tarantino-Robbie, ed è proprio quest’ultima a rispondere per prima: «Credo di essere grata, per alcuni versi, di lavorare nell’era attuale, perché ci sono così tanti ruoli femminili, ultimamente, che sono davvero entusiasmanti e degni di nota. Ma non è che non esistessero a quei tempi… forse erano più scioccanti e innovativi, all’epoca. Guardando film degli anni ’50 e ’60, ne ho visti così tanti che adoro, e so che Hollywood è cambiata parecchio da allora, specialmente dal periodo in cui è ambientato il nostro film; il momento di passaggio vero e proprio c’è stato tra il ’65 e il ’69, che ha poi spianato la strada agli anni ’70. E credo che al momento Hollywood stia seguendo un percorso simile, stiamo vivendo un nuovo passaggio verso un tipo di contenuti differenti ed entusiasmanti».

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La parola passa poi a Tarantino, che afferma: «Alcuni dei film di cui abbiamo parlato nella nostra pellicola, li ho visti tra il ’69 e i primi anni ’70, perché sapete, prima potevano restare anche un anno al cinema. Nel caso di The Wrecking Crew, l’ho visto quando uscì, credo avessi 6 anni, ed è interessate, ricordo che avevo già visto i film di Dean Martin e Jerry Lewis, ero un fan, erano tra le celebrità più famose al mondo. Ma sono stato assolutamente rapito da Sharon Tate in quel film. Se lo avete visto [il film], è una performance davvero divertente, perché interpreta questo agente segreto un po’ maldestro. E lei aveva un dono, era portata per questo genere [la commedia], ed era davvero divertente vederla eseguire queste acrobazie alla maniera delle slapstick comedy. A 6 anni, la slapstick comedy è probabilmente il tuo genere preferito, e ti vedi questa ragazza carina che inciampa di qua e di là, senza però perdere mai il suo aplomb. Era assolutamente affascinante, mi ha completamente rapito, e il film ha queste gag fantastiche, soprattutto nel finale… Ha davvero fatto colpo sull’audience. Ricordo di averlo visto al Garfield Theater di San Gabriel, e ha davvero fatto scoppiare fragorose risate e applausi in sala» e poi aggiunge «Tra l’atro, cosa che credo sia parte dell’ispirazione per la scena di Margot al cinema, quando il film è uscito in sala, ho fatto la stessa cosa che ha fatto lei [in C’Era Una Volta A… Hollywood]: stranamente il cinema in cui ero in quel giorno aveva un patio simile a quello del Bruin, e quando sono uscito dalla sala con i miei genitori, sono andato vicino al poster del film per vedere chi fosse quell’attrice. Ho guardato le insegne, le stesse che ho usato anche io nel film, e ho chiesto “Chi è Miss Carlson?” e mi è stato risposto “Sharon Tate” al che ho commentato “Forte, sembra una a posto”. Per quanto potesse sembrarmi a posto un adulto all’età di sei anni. Ora, credo che The Wrecking Crew sia un bel film, anche se un po’ assurdo, e io sono un grande fan del regista, Phil Karlson, ma quella pellicola in particolare credo sia un pochino ridicola… Ma lei era così affascinante e brava! E mi è piaciuta l’idea di mostrare la clip originale del film, dove lei e Nancy Kwan hanno questo scontro coreografato da Bruce Lee. Credo sia davvero divertente».

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Infine è DiCaprio a dire la sua sul “throwback”: «Penso fosse affascinante, perché sapete, ho pensato al 1969, e come mai questo film sia ambientato proprio in questo periodo. Così ho cercato su google tutto quello che è accaduto a livello culturale in quell’anno, tutti i film che sono usciti, ed è davvero un punto di svolta letterale nella storia americana e in quella del cinema americano; credo abbia spianato la strada ai nostri eroi. Era l’era dei registi, quando il potere di rendere un film tra i più memorabili era in mano loro. È stato davvero un punto di svolta culturale».

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Il successo riscontrato oltreoceano di C’Era Una Volta A… Hollywood ha a che fare, secondo Tarantino, con l’effetto nostalgia? «Beh, credo che in realtà sia una combinazione di cose. È un soggetto interessante, e non ci sono altri film quest’anno che affrontano l’argomento e possono definirsi simili, quindi ha il beneficio di potersi dire unico. Penso che molto si debba anche al cast, la gente è davvero entusiasta di poter vedere questi attori nel film. E poi, credo che sia stato fatto un buon lavoro con la pubblicità, sembra un film di grande intrattenimento, un buon modo per passare una serata. Le recensioni, almeno in parte, hanno contribuito a confermare la tesi, quindi sì, direi una combinazione di tutte queste cose».

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Come nasce la passione del regista per i film di un certo tipo di produzione nostrana, come i B-Movie e i Western all’italiana? «Sono un fan dei film di genere in generale, e sono un fan di quelli che voi chiamate B-Movie. Mi piace molto la prospettiva italiana sui film di genere, che si tratti di Spaghetti Western, Macaroni Combat, Gialli,  Peplum… In realtà i Peplum non mi fanno impazzire tanto quanto il resto, ma ad esempio adoro le Sex Comedy all’italiana. Una delle cose che più mi affascinano di questi generi, in particolare degli Spaghetti Western, dei Gialli e dei Polizieschi è che sono il loro punto di partenza sono stati i policier francesi oppure i western americani anni ’50, ma poi li hanno reinventati. Proprio l’idea di prendere un vecchio genere e trovare un nuovo modo di raccontarli, a un nuovo pubblico e con un’enfasi diversa mi entusiasma tantissimo. Adoro come siano riusciti a fare una cosa simile. È un modo per aggiungere nuove sfumature al genere, e in particolare nel caso degli Spaghetti Western, quei registi come Leone, Corbucci, Sollima, Tessari… Quasi tutti loro hanno iniziato come critici cinematografici, per poi diventare sceneggiatori e passare alla seconda unità. Loro erano assolutamente appassionati e innamorati del cinema come lo erano gli artisti della Nouvelle Vague francese che ebbero un simile percorso. E il loro estremo entusiasmo per il genere è semplicemente delizioso. E anche, quello che per me li rende ancora più italiani, è l’impegno nei confronti dell’opera: il modo in cui presentano il prodotto è più grande, fuori dall’ordinario, come per le colonne sonore, adoro questo modo di fare operistico, così esagerato. Il primo libro che ho letto sugli Spaghetti Western è stato nel ’79, ed era un libro pubblicato in Inghilterra intitolato Spaghetti Western: L’Opera Della Violenza. E credo di stare cercando di realizzare la mia opera della violenza ormai da una vita!».

Ma dopo Bastardi Senza Gloria e C’Era Una Volta A… Hollywood, c’è una terza riscrittura tarantiniana della storia in programma? «In realtà credo che sia questa la terza riscrittura tarantiniana. Bastardi è stata la prima, Django la seconda, e questa è la terza nella mia personale “trilogia”».

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A un certo punto Enrico Magrelli, il moderatore dell’incontro, nel porre una domanda a Margot, decide di rendere noto agli ospiti il titolo italiano di The Wrecking Crew, ovvero Missione compiuta stop. Bacioni Matt Helm, provocando le sonore e incontrollate risa di Tarantino, che una volta ricominciato a respirare ha affermato: «Voi italiani e questi titoli! The Inglorious Bastards (di Castellari) lo avete tradotto Quel Maledetto Treno Blindato… Perché???»

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Ad ogni modo, la Robbie racconta poi, come richiesto da Magrelli, l’esperienza sul set il giorno della già più volte citata scena al cinema: «Il giorno in cui abbiamo girato la scena, Quentin mi raccontò che a lui capitò una cosa simile una volta in un cinema che dava True Romance, e che allora di getto pensò “Beh, ho scritto io il film, posso entrare gratis?”. Ed era una storia così dolce. E credo che molte delle cose di questo film, questi piccoli ricordi di Quentin inseriti nella narrazione, rendano tutto ancora più specifico, intimo e speciale. Io non c’ero ancora nel ’69, ma Quentin sì, e quando ho letto la sceneggiatura, mi sono sentita trasportata in quegli anni, era come se stessi leggendo dal suo punto di vista come fosse vivere a quel tempo, e ha reso tutto più speciale. Cosa c’era in radio in quel periodo? Quali canzoni si sentivano? Cosa trovavi per strada viaggiando in macchina, cosa avresti visto passando? Questo livello di specificità è davvero un dono. Non dovevi nemmeno immaginarti altro oltre a quello che aveva detto Quentin. E anche sul set… Lui non si affida alla CGI, ed essere su un set del genere di questi tempi è davvero raro. In alcuni casi sei circondato da green screen, e il resto verrà aggiunto in un secondo momento. Non so dire quale gioia è stata non solo prendere parte a quella scena in particolare, essere davvero al Bruin, e sapere che anche Quentin ebbe un’esperienza simile, ma proprio essere nella Hollywood del ’69, perché è così che ci si sentiva. È stata una delle gioie più grandi della mia carriera, e non so se riuscirò a provare lo stesso in un’altra occasione».

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Quanto la Hollywood di oggi è diversa da allora? E il cinema può davvero mutare la realtà? Risponde Tarantino: «Per me il cinema è così diverso da quando iniziai io negli anni ’90, figurarsi rispetto al 1969! Una cosa la dirò però. Ogni volta che mi fanno una domanda, vorrei dire così tante cose che ho in mente, che di solito vado con la prima che mi viene. Questa volta è un po’ come ha detto anche Margot: ai vecchi tempi, come forse li possiamo chiamare, ma anche negli anni ’90, la gente costruiva ancora i set. Non era solo materiale aggiunto dopo. Mi piace vedere film come Life Force di Tobe Hooper, in cui c’erano questi magnifici set situati in enormi magazzini dove ricreavano completamente questi nuovi mondi. E non sembravano poco verosimili. Guardavo Cutthroat Island di Remy Harlin, ed era già di per sé un  buon film, ma dal punto di vista della scenografia era davvero fantastico; avevano costruito questo villaggio intero, e c’era questa sequenza d’azione che potevano fare solo in quel modo. Non c’era CGI, è costata una fortuna, ed è tutto lì, sullo schermo. E adesso anche i film con un budget davvero grosso non hanno tempo per queste “cavolate”.  E credo semplicemente che qualcosa sia andato terribilmente perduto. E questa terribile perdita riguarda l’effetto visivo, il film e soprattutto la fattura. E credo che questo rappresenti un pericolo [per la cinematografia]. Una delle cose che meno gradisco di questa digitalizzazione non è solo il fatto che, da vecchiaccio brontolone quale sono preferisco la pellicola al digitale, ma è tutto quel processo artigianale che c’è dietro ogni stadio del voler catturare l’immagine in un certo modo. È facile ricorrere al digitale, è facile anche quando si pianifica soltanto di ricorrerci, perché il video ti dà una vasta scelta e una maggiore libertà d’azione. Ma se hai qualcuno come Bob Richardson [direttore della fotografia di Tarantino], lui ha catturato l’immagine così bene che, una volta passato per tre processi di duplicazione, il film che avete al cinema è assolutamente fantastico. Molti non sanno come fare una cosa del genere, ed è ciò che distingue quelli veramente bravi dagli altri. Le persone che sanno prendere la pellicola e lavorarla fino a che quello che viene mostrato sullo schermo non risplenda di luce propria. E questa è la fattura artigianale, e si sta sempre più estinguendo, ragazzi. Non so se il cinema può cambiare la storia, ma so che può influenzarla».

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È ancora Magrelli a chiedere, questa volta a Leonardo, come ci si sente nel diventare l’attore di riferimento di un regista, e quali sono le responsabilità crede di avere in quanto tale. «Credo che se la mettessi in termini di responsabilità sarebbe un po’ intimidatorio. In tutta onestà, sono cresciuto come fan dei film e del cinema. A ogni attore che mi chiede consigli per farcela in questa industria, la prima cosa che dico è “Guardate più film che potete. Trovate i vostri eroi. Trovate qualcuno o qualcosa che vi influenzi. Create la vostra identità… Abbiamo dei giganti come predecessori. E come dicevamo prima, magari guardate indietro a quanto fatto in passato, che so, negli anni ’20”. Parlando di set, ti trovavi davanti questi set che sembrava veramente di essere nel Selvaggio West. Il numero di persone che si riuniva per creare qualcosa di nuovo a livello visivo… Abbiamo tutta questa storia a cui guardare, e ci sono così tanti generi e così tanti periodi nella storia del cinema che possono influenzarci. Di solito quello che mi domando è piuttosto “Con chi voglio lavorare che riuscirà a pormi in una situazione tale che io possa dare il meglio di me? Chi sarà in grado di dare vita a quella sceneggiatura che ho letto? È un mezzo che è fatto per i registi, noi vediamo il cinema attraverso gli occhi del regista, quindi chi di loro sarà in grado di far risaltare al meglio la performance dell’attore, la sceneggiatura, e dare all’audience quella sensazione rara di poter davvero creare una connessione con quello che accade sullo schermo? È un dono raro. Quindi sì, per me fa tanto il regista, ed è ciò che cerco di solito».

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E dopo la risposta all’ultima domanda e un «Grazie! Grazie a voi, è una delle conferenze più appassionate a cui io abbia mai preso parte» da parte di Tarantino, ci accingiamo a salutare i monumentali artisti che ci hanno accompagnato, almeno per un po’, in questo viaggio attraverso Hollywood, il cinema e la sua storia.

Laura Silvestri

Foto: Laura Silvestri
Materiali Stampa: Sony Pictures

Premi David Di Donatello – Il Premio Alla Carriera A Tim Burton

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Tim Burton riceverà il Premio Alla Carriera – David For Cinematica Excellence in occasione della cerimonia dei Premi David Di Donatello 2019.
Di seguito il comunicato stampa con le dichiarazioni di Piera Detassis, Presidente e Direttore Artistico dell’Accademia del Cinema Italiano.
ACCADEMIA DEL CINEMA ITALIANO – PREMI DAVID DI DONATELLO
A Tim Burton il Premio alla Carriera – David for Cinematic Excellence 2019Il riconoscimento sarà consegnato il prossimo 27 marzo durante la 64a edizione dei Premi David di Donatello, in diretta in prima serata su RAI 1 condotta da Carlo Conti
 

Tim Burton riceverà il Premio alla Carriera – David for Cinematic Excellence 2019 nel corso della 64a edizione dei Premi David di Donatello. Lo annuncia Piera Detassis, Presidente e Direttore Artistico dell’Accademia del Cinema Italiano – Premi David di Donatello, in accordo con il Consiglio Direttivo. Il riconoscimento sarà consegnato mercoledì 27 marzo nell’ambito della cerimonia di premiazione, in diretta in prima serata su RAI 1 condotta da Carlo Conti.

Il nuovo e atteso lungometraggio del cineasta statunitense, Dumbo, rivisitazione in chiave live-action dell’amato classico d’animazione Disney, sarà nelle sale italiane dal 28 marzo distribuito da The Walt Disney Company Italia.

 

“È un grandissimo onore per noi consegnare il Premio alla Carriera a Tim Burton – ha detto Piera Detassis –  celebrando così la sua straordinaria energia creativa e il talento multiforme espresso in tanti capolavori come Edward mani di forbiceEd WoodIl mistero di Sleepy HollowLa fabbrica di cioccolatoLa sposa cadavere, per citarne solo alcuni. Burton è certamente uno dei grandi innovatori della storia del cinema e la sua opera è la visionaria prosecuzione di una grande tradizione culturale che parte da Edgar Allan Poe, attraversa l’espressionismo e il surrealismo, l’illustrazione e il fumetto, per arrivare fino all’arte digitale: il risultato è una sintesi personale di profonda poesia in cui emerge, con malinconica ironia, il racconto di figure e temi attualissimi, su tutti la paura dell’altro, e insieme l’empatia con il diverso, il ‘mostro’, la difficoltà e la necessità di trovare una conciliazione con gli esclusi e gli incompresi”.

La Redazione

Comunicato Stampa: Ufficio Stampa David Di Donatello
Immagine: CameraLook

Rendez Vous – Jacques Audiard Al Festival Del Nuovo Cinema Francese

Jacques Audiard sarà a Roma in occasione del Festival Del Nuovo Cinema Francese per presentare il suo nuovo film, The Sister Brothers – I Fratelli Sister, grazie al quale ha vinto il premio per la Miglior Regia all’ultimo Festival Del Cinema Di Venezia.

Di seguito il comunicato stampa della Universal.

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Il pluripremiato e acclamato maestro del cinema francese sarà a Roma, al Cinema Nuovo Sacher, sede del RENDEZ VOUS il Festival del Nuovo Cinema Francese, per presentare The Sisters Brothers – I Fratelli Sisters ed un focus speciale a lui dedicato, che chiuderà il festival l’8 aprile.

Per l’ottavo lungometraggio, al debutto in lingua inglese, Jacques Audiard sceglie il western, genere per antonomasia del cinema popolare americano, per sbriciolarne tutti i codici e trasformarlo in una saga picaresca sulla violenza dei padri fondatori e sulla fratellanza, imbevuta di humour, gusto per l’avventura e poesia.

È il 1851, e Charlie ed Eli Sisters (Joaquin Phoenix e John C. Reilly) sono due fratelli e assassini, cresciuti in un mondo selvaggio e ostile. Hanno le mani sporche di sangue: sangue di criminali, sangue di vittime innocenti … sono dei pistoleri e quella è l’unica vita che conoscono. Il più anziano dei due, l’introspettivo Eli (Reilly) continua ad uccidere su commissione insieme al fratello più giovane, ma sogna una vita normale. Il più giovane dei due, Charlie (Phoenix) che è un grande bevitore, ha preso entusiasta il controllo del duo nell’esecuzione dei cruenti mandati. Ciascuno di loro mette però in discussione il metodo dell’altro e la loro vita è un continuo battibecco. 

Durante un viaggio nei territori del Nord Ovest, i fratelli Sisters giugnono sulle montagne dell’Oregon, poi in un pericoloso bordello nella piccola città di Mayfield e, infine, nella California della febbre dell’oro. Il viaggio metterà a dura prova il legame tra i due fratelli basato sulla loro attività omicida, ma potrebbe anche trasformarsi nell’occasione per riscoprire ciò che resta della loro umanità?

Servito dall’ottima partitura musicale del Premio Oscar Alexandre Desplat e da un super cast (tra cui Joaquin Phoenix, John C. Reilly, Jake Gyllenhaal, Riz Ahmed), il film, premiato con il Leone d’Argento a Venezia 75, e quattro César, arriva nelle sale italiane dal 2 maggio, distribuito da Universal

La Redazione

Comunicato Stampa: Universal Pictures Int. Italy
Immagine: lesInrockuptibles

TaTaTu: La Prima Sharing Economy Del Free Time – Il Lancio Italiano Dell’App

Il 6 Marzo si è svolta a Roma la presentazione dell’app TaTaTu, la prima piattaforma social di intrattenimento che premia gli utenti che guardano contenuti online.

Tra conferenza stampa e party di lancio sponsorizzato da Campari, l’evento ha visto protagonista Andrea Iervolino, ideatore dell’app e produttore cinematografico, assieme agli attori Antonio Banderas, Michael Madsen e Romano Reggiani.

Ma cos’è TaTaTu?

TaTaTu è un applicazione disponibile su Apple Store e Android – a breve verrà realizzata la versione per TV – con 5000 ore di contenuti tra film, musica, sport e game, a cui si aggiungeranno periodicamente nuovi titoli.

Scaricando gratuitamente l’app e divenendo – sempre gratuitamente – membri della community, si ottiene automaticamente un wallet digitale. Guardando film, video clip e altri contenuti gratis, ma con piccole interruzioni pubblicitarie, guadagnerete token (i TTU, una criptovaluta di nuova creazione) che potranno poi essere scambiati con coupon per l’acquisto di prodotti e/o utilizzabili negli e-commerce gestiti da Triboo.

È possibile guadagnare TTU sia tramite visione diretta dell’utente, che tramite visione di terzi da voi invitati ad iscriversi su TaTaTu: ogni volta che il vostro amico guarderà un contenuto, guadagnerete entrambi TTU.

I TTU possono essere utilizzati anche in altro modo, ad esempio per beneficenza, o nel caso della produzione cinematografica, per pagare gli attori e supportare la stessa produzione. Lo stesso Antonio Banderas è stato retribuito in TTU Coin per il suo ruolo in Lamborghini.

 

Foto Dell’Evento

 

Sia Banderas che Madsen hanno mostrato il proprio supporto in favore di Iervolino e delle sue iniziative:

Banderas:

«Ho lavorato con Andrea a due film. Lui non è solo un produttore molto bravo e molto serio, ma ha una mente molto brillante. I suoi assegni mi arrivano sempre tempo… E ha anche inventato un modo per vedere film, ed essere pagati per farlo! E questo è un dono che ha fatto a tutti noi. È fantastico, è folle… Un vero sogno! Ho accettato di farmi pagare in TTU perché accetto il futuro!»

Madsen :

«Ai tempi dello Studio System c’era una certa di dose di fiducia tra i vari attori, produttori e la produzione tutta… Andrea sta portando di nuovo questa fiducia nel business dell’intrattenimento, ed era qualcosa che mancava da un pò. Ora sei come un cowboy, se da solo, a meno che non ti presentino – come ha fatto il mio manager – qualcuno come questo ragazzo. C’è stato un periodo in cui non avevo più voglia di fare l’attore, non avevo più fiducia, non ci credevo più. E adesso, addirittura, persino i miei figli vogliono essere degli attori. […] Farei qualsiasi cosa mi chieda questo ragazzo. Lui è sempre stato fedele e di parola. Sono sicuro che faremo molte cose insieme in futuro, perché è un tipo davvero intelligente».

Per maggiori informazioni su TaTaTu vi invitiamo a dare un’occhiata ai video della conferenza stampa di presentazione dell’app che trovate qui sotto.

Laura Silvestri

Materiali Stampa: ManzoPiccirillo
Foto Dell’Evento: Daniele Venturelli
Video: Time Stone Entertainment

 

La Casa Di Jack – La Recensione

Sfida Tra Arte e Crudeltà

Stati Uniti, anni ’70. Una donna dai modi alquanto invadenti ferma uno sconosciuto sul ciglio della strada per farsi aiutare con una gomma bucata. Per gli spettatori di oggi, potrebbe essere il citofonato inizio di un qualsiasi film horror. Per quella donna, sarà l’inizio della fine. Per Jack, sarà l’incidente scatenante della sua trasformazione in serial killer.

The House That Jack Built 33 photo by Zentropa-Christian Geisnaes

«Ho chiesto a Lars “Perché hai voluto fare questo film?” e lui mi ha risposto “Perché questo è il personaggio che più mi somiglia”… Solo che, sapete, Lars non uccide le persone».

Matt Dillon, interprete del personaggio titolare dell’ultimo film di Lars von Trier ci presenta così La Casa Di Jack, la chiacchierata pellicola presentata al Festival Di Cannes lo scorso anno.

The House That Jack Built – titolo inglese del film – è una cruda e viscerale rappresentazione non solo della psiche umana nel suo peggior stato, ma anche della incessante ricerca di un artista incompreso e insoddisfatto, che tenta di raggiungere un inarrivabile capolavoro nell’unico modo per lui concepibile: deostruendo l’umanità stessa.

The House That Jack Built 26 photo by Zentropa-Christian Geisnaes

«Jack è uno psicopatico. Non ha nessuna empatia, e questo lo porta ad essere ancora più pericoloso ed inquietante. […] Per quanto il film si concentri sulle uccisioni, credo che riguardi principalmente un artista fallito. E questo fallimento deriva proprio dalla sua mancanza di empatia» sostiene Dillon.

Jack racconta – un po’ a sé stesso, un po’ a un misterioso Virgilio (Bruno Ganz) – le tappe principali del suo “percorso artistico”, evidenziando cinque episodi che, secondo lui, sono stati fondamentali nel suo sviluppo.

A volte frutto del momento, a volte attentamente pianificati, i sanguinosi delitti di Jack servono uno scopo ben preciso: perpetrare l’arte, nutrire il suo ego. Dimostrare a quell’ingegnere che voleva essere architetto che può diventarlo, se vuole. Quella casa che progettava da anni, che aveva sempre voluto costruire, può davvero essere realizzata.

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Uno dopo l’altro, assistiamo dunque agli efferati omicidi di cui Jack si rende colpevole, ognuno prova delle diaboliche macchinazioni di cui può essere capace l’essere umano nei suoi momenti più bui, e ognuno sintomo di ciò che accade ogni giorno, da qualche parte nel mondo.

«Jack è anche un misantropo, secondo me. Vede il mondo con un estremo cinismo. Non credo che sia necessariamente il punto di vista di Lars, ma lo instilla comunque in Jack, come parte del dibattito con Virgilio. Nel film si viene a creare una sequenza davvero interessante, anche per via della natura particolarmente grafica e macabra della violenza rappresentata; questo dimostra chiaramente come Jack voglia essere notato, come voglia essere catturato. […] Ad un certo punto lui confessa i suoi crimini, ma non viene creduto, nonostante stia dicendo la verità. Così lui va avanti, e continua a fare ciò che fa sempre».

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E riguardo alla violenza nel film – che, a dirla tutta, non differisce più di tanto da quello che abbiamo visto in molte altre occasioni sui vari schermi – sia il pubblico meno incline alla visione di scene particolarmente forti, sia quello più prono all’integrità dell’opera, sarà probabilmente lieto di sapere che verranno distribuite due versioni della pellicola qui in Italia: una tagliata (e doppiata), ed una versione estesa (in lingua originale), entrambe però vietate ai minori di 18 anni.

Una volta costruita, La Casa Di Jack si presenta – figurativamente parlando – come una lunga e feroce disquisizione tra arte e crudeltà, sogni impossibili e realtà fin troppo concrete, ambientata nella mente contorta di un serial killer che ha ormai abbandonato ogni parvenza di decenza per dar spazio ad un impossibile perfezionismo.

Distribuito da Videa, La Casa Di Jack è al cinema dal 28 Febbraio.

Laura Silvestri

Info

Titolo Originale: The House That Jack Built

Durata: 152'

Data Di Uscita: 28 Febbraio 2019

Regia: Lars von Trier

Con: 

Matt Dillon, Bruno Ganz,

Uma Thurman, Shioban Fallon Hogan, 

Riley Keough, Sofie Gråbøl

Distribuzione: Videa

Twilight – 20 e 21 Novembre Di Nuovo Nelle Sale Italiane Il Primo Film Della Saga

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Per festeggiare i dieci anni dall’uscita del primo film della saga, torna nelle sale italiane Twilight di Catherine Hardwicke.

Il film tratto dall’omonimo romanzo di Stephenie Meyer, e che ha portato alla ribalta gli attori Kristen Stewart Robert Pattinson, sarà disponibile al cinema il 20 e il 21 Novembre; mentre il 13 dello stesso mese al The Space Moderno di Piazza Della Repubblica di Roma, ore 20.30, si terrà una premiere-evento che promette grandi sorprese prima della proiezione per i fan della saga.

“Dopo il matrimonio di sua madre, l’adolescente Bella Swan si trasferisce dall’assolata Phoenix, in Arizona, a casa di suo padre nella piovosa cittadina di Forks, nello stato di Washington. Introversa e solitaria, Bella non ha grandi aspettative per quanto riguarda la nuova scuola e i nuovi compagni, ma l’incontro con Edward Cullen, bello, intelligente e spiritoso, anche se con un alone di mistero, cambia completamente le sue prospettive. Tra i due nasce prima una profonda amicizia e poi un’appassionata storia d’amore, ma quando Bella scopre la vera identità di Edward viene catapultata in un mondo misterioso dove la vita e la morte non hanno confini…”

Materiale Stampa: ManzoPiccirillo

Laura Silvestri

 

Martin Scorsese – La Consegna Del Premio Alla Carriera alla Festa Del Cinema Di Roma 2018

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Festa Del Cinema Di Roma: Il 22 Ottobre, all’Auditorium Parco Della Musica, è stato consegnato da Paolo Taviani il premio alla carriera a Martin Scorsese.

La consegna del premio ha seguito un incontro con il pubblico in cui si è parlato di cinema italiano e dei registi/film che hanno influenzato la carriera da regista e la vita da appassionato di cinema di Scorsese.

Grandi emozioni per i presenti in sala, e sicuramente un grande giorno per la storia del grande schermo.

Foto e Video: Laura Silvestri

Laura Silvestri