Il Venerabile W. – La Recensione

Le fasi del male

Attraverso l’inquietante e controversa parabola del monaco buddista Ashin Wirathu, il regista franco-svizzero Barbet Schroeder ci rende una testimonianza sull’origine e le istanze che hanno portato alle violente persecuzioni verso il popolo dei Rohyngya avvenute in Birmania.

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L’odio e la distruzione trovano sempre una via d’accesso per infiltrarsi nelle pieghe del tessuto sociale quando la chiave è l’estremismo, ed è proprio questo che Schroeder tenta di portare a galla con il suo documentario. Presentato nel 2017 alla settantesima edizione del Festival di Cannes, vuole essere l’ultima parte di una trilogia ideale, in cui il regista indaga a fondo proprio sul concetto del male, rapportandosi agli stermini etnici che hanno segnato il ventunesimo secolo.

Un insieme di interviste rilasciate in esclusiva dal “Venerabile Wirathu”, video di repertorio e amatoriali, ci catapultano all’interno di una escalation culminante nella violenza più insensata; eppure, al primo colpo d’occhio, sono l’estrema pace e armonia emanate da questa figura magnetica a far davvero ghiacciare il sangue nelle vene. 

Ma chi è Ashin Wirathu? Rispettato e stimato monaco di Mandalay (in Birmania), nel 2001 forma il movimento 969, ispirandosi al concetto omonimo, legato alla numerologia, nato da U Kyaw Lwin: in termini sintetici, il “969” si fa incarnazione dell’identità e della cultura buddista. Nel corso degli anni, sermone dopo sermone, W. ha assunto la posizione di Leader ed è stato in grado di condurre la popolazione birmana verso l’intolleranza più cieca, servendosi di uno spauracchio populista e nazionalista: inizia mettendo in guardia verso una progressiva scomparsa della fede buddista e tutti i valori che questa rappresenta; la minaccia arriverebbe dai rifugiati islamici Rohyngya, accusati di circuire le “loro donne” per farne delle musulmane.

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Ora sarebbe utile tenere a mente che, come fa sapere la voce narrante, ci si riferisce ad una minoranza esigua a fronte di un paese composto al novanta per cento da buddisti. Nei suoi seguitissimi sermoni, Wirathu arriva a promulgare affermazioni da brividi come «faremo in modo che i musulmani non abbiano più dove dormire né da mangiare», auspicando un’eliminazione sistematica. 

Nel 2003 viene incarcerato per incitamento alla sommossa e all’odio razziale. Ciò nonostante, tornerà a combattere la sua grottesca battaglia antiislamica nel 2012, dopo essere stato rilasciato in seguito ad un’amnistia, ancora più influente e carismatico di prima. 

Con uno sguardo tanto neutrale e crudo da lasciare sconcertati, le immagini sullo schermo compongono un percorso che prende il via dalla natura più pura e pacifica insita nella dottrina del Buddha per poi trascinare giù all’inferno, fino ai meandri più oscuri; questo inferno altro non è se non la facilità estrema con cui l’essere umano odia, denigra e riesce a fare del male. Abbiamo bisogno, però, di questo sguardo neutrale, più che mai in una contemporaneità dove vige l’approccio tipico della tifoseria, e il dialogo sembra essersi evoluto (?) in un meccanico scontro tra squadre avversarie.

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Durante la conferenza stampa con il regista, tra i punti focali vi sono senz’altro la connessione tra i fatti descritti dal documentario e il clima di sovranismo ed intolleranza sempre più crescente nei territori occidentali, ma si è parlato anche delle implicazioni personali dal punto di vista ideologico.

Un buddista che odia pare essere una contraddizione in termini, e alla domanda su quanto c’è di personale in questa indagine, essendo lui fortemente legato a questa religione, Schroeder afferma: «Nel corso della mia vita ho perso progressivamente tutte le mie illusioni politiche e religiose, l’ultima roccaforte era il buddismo, ma è una religione come le altre. Con questo intendo dire umana, perciò ha in sé anche il male.»

Questo progetto lo ha certamente portato a riflettere sulla condizione europea (e non solo) di spinto nazionalismo e politiche mirate alla divisione: «Son tornato da questo viaggio con qualcosa che riguardava molto più noi di quanto avessi voluto pensare».

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Wirathu è stato convinto a farsi intervistare sostenendo le similitudini ideologiche tra lui e Le Pen, e chiaramente i meccanismi di odio che si innescano risultano essere sempre uguali, ma qualcosa cambia da cultura a cultura, o da momento storico a momento storico?: «In realtà gli ho poi spiegato che la mia intenzione era fare un film, che potesse uscire in sala, per il pubblico. Non ero un giornalista. Ma continuando a chiedermi il perché, gli ho spiegato che in Francia stavano per eleggere un nuovo presidente, e Marine Le Pen condivideva certamente delle idee con Wirathu, dunque i francesi erano interessati a capire come lui fosse riuscito, ad esempio, ad introdurre delle nuove leggi…»

«Tra le cose che che possiamo definire universali sicuramente c’è la nozione di Pogrom; la difesa della cultura, la difesa del paese, sono estremamente interessanti da studiare. Si tratta di uno schema che viene riproposto, e in realtà non ha nulla a che vedere con la cultura o il paese in cui ci si trova».

Si è toccato anche il tasto dei finanziamenti al monastero e al movimento da parte delle forze militari: «Il giornalista spagnolo che interviene nel documentario sostiene che probabilmente si tratta di soldi provenienti da persone vicine alla dittatura militare. Si vorrebbero avere le prove di una connivenza, ma le donazioni restano rigorosamente anonime…»

POSTER

Con il patrocinio di Amnesty International, Il Venerabile W. sarà al Cinema dal 21 Marzo, in occasione della Giornata Internazionale contro le Discriminazioni Razziali.

Cristiana Carta

Info

Titolo Originale: Le Vénérable W.

Durata: 107’

Data di Uscita: 21 Marzo 2019

Regia: Barbet Schroeder

Con: 

Ashin Wirathu, Barbet Schroeder (voce),

 Bulle Ogier (voce)

      Distribuzione: Satine Film

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