C’Era Una Volta A… Hollywood – La Recensione

Un viaggio nella Hollywood da sogno di Quentin Tarantino

Intro

Onirico, ma non del tutto irreale. Incantevole, ma non perfetto. Nostalgico, ma con un’attualità tutta sua. Il passato dai tratti ucronici raccontato da Mr. Tarantino e di cui si fanno protagonisti i personaggi di Leonardo DiCaprio (Rick Dalton), Brad Pitt (Cliff Booth) e Margot Robbie (Sharon Tate) arriva finalmente sugli schermi d’Italia, dopo aver debuttato a Cannes a maggio (per poi uscire in America) e aver conquistato la Capitale del Bel Paese nel mese di agosto.

E allora tuffiamoci anche noi in questo mare di ricordi dai colori vibranti e dai toni pastello; dalle note che fuoriescono dai giradischi per diffondersi nelle abitazioni, nei locali e nelle strade di Los Angeles; dalle illusioni di un tempo che dovrà venire, ma che forse non arriverà mai davvero. Accompagniamo dunque l’irrequietezza di Rick, la praticità di Cliff e la spensieratezza sognante di Sharon che dipingono la Hollywood di un tempo, presente nel cuore dei personaggi, lontano – eppure così vicino – per gli spettatori, ma passato e sempiterno nella mente del regista.

Laura Silvestri

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C’era una volta… il piccolo Quentin (Discorsi a cuore aperto)

Rick Dalton è un attore televisivo ormai di scarso successo, nonostante un glorioso passato, che insieme alla sua controfigura e grande amico Cliff  cerca di tirare avanti rincorrendo i bagliori di Hollywood; i suoi vicini di casa sono niente meno che Roman Polanski e moglie, in quei fatidici giorni che hanno visto il brutale assassinio di Sharon Tate da parte della Famiglia di Charles Manson.

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“Sometimes I feel like my only friend is the city I live in, the City of Angels….” cantava Anthony Kiedis, nel 1992: una “città degli angeli” dove tutto è possibile, che può confortare, ispirare e far compagnia a chiunque si senta un estraneo nel mondo; quella stessa città, Los Angeles, che Tarantino decide di omaggiare con la sua attesissima e sfavillante ultima fatica. L’autore di cult assoluti quali Le Iene, Pulp Fiction, Kill Bill, Bastardi senza gloria ci porta a fare un viaggio – nella memoria e nel tempo – che agisce su più livelli, attraverso la sua personale ricostruzione di un’epoca cruciale, tanto per la formazione cinefila dello stesso Tarantino quanto per l’intera storia del cinema. 

Arrivato al suo nono lungometraggio, il regista sembra voler tirare le somme di una carriera avviata ufficialmente proprio in quel fatidico ‘92. Come volendo fare un recap conclusivo, “sfilano” durante il film i tantissimi ed eterogenei elementi cinematografici a lui cari (caratteristici della sua cifra stilistica), dando comunque massima attenzione all’organicità narrativa, ottenendo un risultato entusiasmante e per nulla scontato.

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In breve, la storia si svolge nel 1969 in una Hollywood in pieno fermento ed evoluzione, che stava per essere sconvolta dal terribile omicidio dell’attrice Sharon Tate (ai tempi moglie di Roman Polanski, nonché in dolce attesa) ad opera della setta di Manson, segnando prepotentemente un “prima” e un “dopo”; Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) è un attore televisivo ormai divenuto di scarso rilievo, e affiancato da Cliff Booth (Brad Pitt) – sua controfigura, amico e “assistente” – , cerca di farsi strada in un ambiente che sembra non avere più spazio per loro. 

Quando l’agente di Rick gli propone di andare a lavorare in Italia per un regista di spaghetti western, scoppia la crisi esistenziale definitiva dell’attore, terrorizzato all’idea di aver toccato il fondo. Intanto, la coppia Polanski/Tate (interpretati da Rafał Zawierucha e Margot Robbie) va ad abitare la villa adiacente a quella di Dalton, e i due fanno come da contraltare alle inquietudini del vicino: loro sono dei fari luminosi, in questa “nuova Hollywood” che si stava andando a formare; nell’ombra, in disparte (ma di certo non “sconfitto”) c’è Cliff , laborioso, propositivo e fornito di eccezionale lealtà, una di quelle figure che, pur nascoste, hanno contribuito a rendere grande il cinema. 

In linea di massima, la narrazione appare strutturata come un romanzo corale, che si snoda seguendo i passi di Rick e di Cliff, ma spesso anche della Tate; struttura coadiuvata dalla voce narrante fuori campo, che non può non richiamare alla mente le favole della buonanotte (Once upon a time…) alla maniera di Tarantino, s’intende. Del resto, il punto fondamentale continua ad essere il piacere di raccontare; non c’è bisogno di dire come lui ci riesca alla grande, piegando magistralmente la Storia alle sue necessità espressive.

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Ciò che rende questa pellicola un vero gioiello, però, è la sua natura metacinematografica che, attraverso i riferimenti pop, le reiterate manie e il citazionismo “spietato”, si fa al tempo stesso autocitazionismo. Non è un mistero l’enorme debito di Quentin Tarantino verso Sergio Leone (il titolo del film ne è una palese dimostrazione) e il western italiano, verso Scorsese, oppure verso il cinema d’azione proveniente da Hong Kong (ed ecco Bruce Lee, che in quegli anni era divenuto una vera e propria stella di Hollywood), ma tanto altro si potrebbe nominare; come il fantasma del natale passato, tutto ritorna, in un modo o nell’altro, per un faccia a faccia con la vera anima di uno tra i registi più orgogliosamente cinefili di sempre.

Per quanto possa risultare scontato, il cast eccezionale non delude affatto, e spiccano per ovvi motivi i nostri protagonisti; DiCaprio sfoga il suo talento ed emoziona; Brad Pitt, forse un po’ più defilato come il personaggio prevedeva, ma quanto mai incisivo; la splendida Margot Robbie sembra fatta su misura per vestire i panni della compianta star in ascesa, prendendone non solo le movenze ma anche (se in questi termini vogliamo definirla) l’essenza.

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Al netto delle polemiche, che già hanno infiammato buona parte degli “addetti ai lavori”, C’era una volta a… Hollywood trabocca di umanità, passione, rispetto e ammirazione verso i mestieri della settima arte. Non ha potuto fare a meno, Tarantino, di cogliere quella componente di umanità anche nei giovani adepti – in particolar modo Le Ragazze – della Manson Family (che si tratti di civetteria, di rabbia o di paura, non è determinante).

Con quello che il regista ha ribadito essere il suo “penultimo, forse ultimo film per il cinema” ci regala una perla che ha il sapore di un discorso di commiato a cuore aperto, indimenticabile e veramente sentito. 

C’Era Una Volta A… Hollywood è un film con talmente tanti input di riflessione da richiedere analisi ben più approfondite, ma al momento dovrebbe bastare aggiungere che si tratta sì di quasi tre ore, che però non fanno sentire il loro peso, scorrendo veloci, dense di imprevedibilità e di uno spropositato, puro amore per il cinema.

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Dal 18 settembre al cinema.

Cristiana Carta

 

Info

Titolo Originale: Once Upon A Time... In Hollywood

Durata: 165’

Data di Uscita: 18 Settembre 2019

Regia: Quentin Tarantino

Con: 

Leonardo DiCaprio, Brad Pitt, 
Margot Robbie, Timothy Olyphant, 
Dakota Fanning, Al Pacino,
 Luke Perry, Austin Butler,
Damian Lewis, Kurt Russel,
 Maya Hawke

Distribuzione: 

Warner Bros. Italia e Sony Pictures Entertainment

Men In Black: International – La Recensione

Una buona occasione per essere sparaflashati

Molly ha un sogno: poter entrare a far parte dell’incredibile organizzazione segreta dei Men in Black, impegnata da sempre nella supervisione dei rapporti tra gli alieni e la terra. Con tenacia e faccia tosta, Molly convincerà la direttrice di essere all’altezza del ruolo, meritandosi così di entrare a far parte del team come Agente M. Nella sede londinese dei M. i. B., intanto, c’è qualcosa che va storto, e questa sembra essere l’occasione giusta per dimostrare davvero quanto vale.

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Gli ultimi tempi, si sa, sono davvero prolifici per quanto riguarda la rinascita di quei prodotti audiovisivi cult, risalenti più o meno al periodo in cui noi millennials riavvolgevamo le cassette con una matita e facevamo deperire poveri ed innocenti Tamagotchi. Purtroppo, non sempre l’effetto è quello desiderato, e l’operazione rischia di avere delle controindicazioni.

In Men In Black: International, che si proprone come quarto episodio della fortunata saga, iniziata nel 1997, degli uomini in nero, non sono più Will Smith e Tommy Lee Jones a fare da mattatori, e anche questo fa sentire tanto il suo peso. Mosso da una ricerca di approvazione legata alla difficile eredità, unita al bisogno disperato di rendere la storia più aperta alle problematiche contemporanee, dispiace dire che il film non ottiene niente di tutto ciò.

Ma partiamo dall’inizio: siamo nel 1996, Molly è una bimba quando dalla finestra di camera sua vede gli agenti Men in Black sparaflashare i suoi genitori, e un cucciolo di alieno si è rifugiato in camera sua dopo essere fuggito. Da quel momento il suo desiderio più grande sarà (per ragioni evidentemente a noi ignote) quello di entrare a far parte di questo “mondo nascosto”, e soprattutto possedere un neuralizzatore.

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Son passati parecchi anni, e ormai Molly è un’adulta (qui interpretata da Tessa Thompson); in barba a tutte le contromisure per poter rimanere nell’ombra, lei conosce benissimo il lavoro dei M. i. B. e in maniera imbarazzantemente facile riesce ad accedere al quartier generale; l’”infiltrata” viene mandata dalla direttrice, l’agente O (Emma Thompson), la quale con riluttanza le spiega che non si viene assunti, bensì “reclutati”. Molly è una testa dura, e in qualche modo convince l’agente O a concederle un periodo di prova.

Reclutata nella sede londinese, M sarà affiancata niente meno che all’agente H (Chris Hemsworth) – considerato alla stregua di un eroe da tutti, tranne che dall’agente C. H e M (sì, sì, se non l’avete afferrata, è proprio H&M, non è divertentissimo? Ecco, infatti) cercheranno di risolvere un problema che sembra avere a che fare con la poco raccomandabile razza aliena degli Hive. Comincia così la loro missione, che li porterà in Marocco, a Parigi e a Napoli (dove l’agente H avrà a che fare con la sua ex fiamma, un’aliena malavitosa), a bordo dell’ultratecnologica e superaccessoriata automobile “aziendale” – l’unico vero e genuino lascito dell’essenza della trilogia originale.

Perché tanto fervore? L’oggetto cardine di tutto l’intrigo è l’arma più potente mai vista sulla terra, che finisce incredibilmente nelle mani di M.
Intanto i due agenti vengono costantemente intercettati, e non può che significare una cosa: una talpa all’interno dell’organizzazione.

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È da ammettere che l’interazione di Hemsworth con la Thompson risulta la cosa più indovinata di Man in Black: International; d’altronde, già collaudati dalla Marvel, per la quale vestono i panni di Thor e Valchiria, hanno la giusta intesa e sanno essere in alcuni punti davvero divertenti. A dargli man forte la simpatica bestiolina/pezzo di scacchiera, affettuosamente chiamato Piedino. Purtroppo è la costruzione dei loro personaggi a non funzionare più di tanto; Molly si inserisce nella storia come una “novellina”, ma sa tutto, è brava in tutto e al di là di questo non presenta la minima evoluzione alla termine dell’arco narrativo. H si rivela essere sostanzialmente un inetto con tanta fortuna e pochissimo giudizio, e non viene sviluppato abbastanza per poter poterlo descrivere in più parole.

Non si riesce a trovare, in una trama di per sé abbastanza basilare e per niente coraggiosa, un equilibrio tra l’atmosfera da spy story britannica, la fantascienza e il quasi disperato bisogno di smorzare i toni con l’inserimento casuale di ironia spicciola, memore dell’operazione compiuta da Taika Waititi in Thor: Ragnarok. È doveroso aggiungere che un punto di forza della trilogia era l’ingegno avveniristico delle ambientazioni e delle trovate tecnologiche, insieme all’ottima fattura (specie per l’epoca) dei mostri alieni; qui, nel 2019, sembra onestamente essersi fatto un passo indietro in questo senso.

In buona sostanza, questo Men in Black si potrebbe definire poco ispirato, o ispirato solo dall’imperante nostalgia anni ‘90 che sembra aver inglobato l’industria cinematografica dell’ultimo periodo. È un peccato, soprattutto per coloro che hanno riso e seguito le avventure degli inimitabili Agente J e Agente K.

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Men in Black: International è dal 25 Luglio al cinema.

Cristiana Carta

Info


Titolo Originale: Men in Black: International


Durata: 115’


Data di Uscita: 25 Luglio 2019


Regia: F. Gary Gray


Con: 

Chris Hemsworth, Tessa Thompson, 

Liam Neeson, Rafe Spall, Emma Thompson


Distribuzione: Sony Pictures Entertainment