Giffoni 55, Tim Burton presenta la nuova stagione di Mercoledì e incanta il festival

Tim Burton arriva a Giffoni per presentare la seconda stagione di Mercoledì e parlare a cuore aperto con i ragazzi.

È il 25 luglio 2025, fuori ci sono 36 gradi, e la cittadella è gremita di gente, ma non importa, perché l’ospite più atteso di questa cinquantacinquesima edizioni del Giffoni Film Festival è arrivato: Tim Burton.

Adoro il personaggio di Mercoledì. È una persona bella, forte, e ho voluto fare la serie per questo, perché ogni cosa che sente, che pensa, che vuole, la famiglia, la vita, la scuola… Concordo con tutto. La adoro, e spero possiate vedere molto di più di lei con la nuova stagione, molto di più della sua forza in quanto essere umano. Sperò vi piaccia!” esordisce il regista, in una sala colma di ragazzi dagli sguardi sognanti e con indosso le maschere di Mercoledì.

Quando lessi per la prima volta [la sceneggiatura] pensai fosse scritta per me. Sono un uomo adulto, ma mi sono sentito come un’adolescente Mercoledì, mi sono sentito come lei. Ho pensato ci fossero molte somiglianze con il modo in cui mi sentivo da giovane, e in cui continuo a sentirmi tutt’ora. Ha una personalità così forte e così individualistica. E in qualità di regista, è ciò che hai bisogno di essere: una persona a sé, una voce a sé. E devi continuare così” aggiunge poi, rispondendo alle domande del pubblico.

E rivela: “La Nevermore Academy è una scuola per outcast, ma Jenna e io condividiamo lo stesso odio per la scuola. Io odiavo davvero la scuola! Per questo motivo mi piace l’idea di una scuola per outcast. E Mercoledì è addirittura un’outcast tra gli outcast!”.

Ma cosa direbbe un regista di successo come lui al suo più giovane se stesso? “Non mi direi nulla, perché non sono granché nel comunicare!“.

E infatti, Burton continua a ripetere: “Mi sento molto fortunato. Mi è sempre piaciuto disegnare e creare cose, per questo dico sempre a tutti ‘Cosa ti piace fare? Se ti appassiona, fallo e basta’. E poi… Speri per il meglio! Ma penso che l’elemento chiave sia quello, la passione“.

E a proposito di passione, i ragazzi sono davvero curiosi di scoprire di più sull’artista in sala, idolo di generazioni. Così qualcuno indaga sulla sua opera preferita tra quelle da lui dirette… “Forse Vincent, il primo cortometraggio che ho girato, è il mio preferito. Perché quello che ha dato inizio a tutto. Non guardo spesso i miei film, in realtà, ma realizzarli, lo trovo magnifico. E quella è la mia parte preferita: non guardarli, ma farli“.

Alcuni non possono fare a meno di chiedere quacosa su uno dei collaboratori più celebri di Burton, Johnny Depp, e su come il filmmaker ebbe l’idea di ingaggiarlo per Edward Mani di Forbice: “La prima volta che decisi di ingaggiare Johnny Depp lo feci perché era come un attore dei film muti. Aveva questa immagine da teen star, ma non era davvero così. Era una persona molto diversa, in realtà. Si avvicinava moltissimo a quel personaggio, era qualcuno che veniva percepito in maniera diversa da ciò che era. Per cui per me fu perfetto per il ruolo di Edward Mani di Forbice“.

Mentre per quel che riguarda Lady Gaga, che vedremo nella seconda stagione di Mercoledì, ci dice: “Lady Gaga è un’artista straordinaria. Con lei ho girato Mercoledì, ma anche altro. È un’artista in grado di ispirare gli altri. Per cui sento una forte connessione con lei. E per me, è entusiasmante lavorare con un’artista che rispetto e ammiro. Non sono un musicista né una persona di musica, ma la ritengo una vera artista“.

Ma come ci si sente a essere una voce così distinta e distinguibile in un mondo dominato dai social? “Mi sento molto fortunato ad essere cresciuto in un ambiente diverso, precedente alla nascita dei social. Se fossi giovane ora, se mi toccasse crescere in questa era, non so se sopravvivrei a lungo. E infatti mi spiace molto per chi deve crescere in un mondo in cui sono i social media a farla da padrona. Per questo trovo sia importante far cose, creare cose, e non solo stare sui social” ammette. E aggiunge uno spassionato consiglio: “Quando vado sui social e leggo i commenti su di me, mi viene voglia di ammazzarmi. Le persone sono orribili! Non leggeteli mai!“.

Sono cresciuto guardando film, e amo così tanti registi. Ma da artista, posso essere ispirato da tante cose diverse” racconta “La gente mi chiede come ho fatto a diventare regista, ma non lo so nemmeno io! È un percorso così strano. Ho realizzato qualche cortometraggio, che poi è stato visto da gente… Ma ho solo iniziato a fare cose, non ho mai detto ‘Ok, da grande voglio fare questo’. Di nuovo, è stato molto bizzarro, e mi sento molto fortunato. Ma il mio consiglio è quello di capire qual è la vostra passione e iniziare a fare, e di fare del vostro meglio“.

E, prima di essere premiato da Claudio Gubitosi, conclude l’incontro con i ragazzi dicendo “ho sempre cercato di restare fedele a me stesso e a ciò che sentivo dentro. Bisogna seguire il proprio cuore e fare tutto quello che si può per realizzare qualcosa che abbia significato per noi“.

La seconda stagione di Mercoledì approderà il 6 agosto su Netflix con la prima parte, mentre per la seconda parte dovremo attendere il 3 settembre.

Foto e articolo di Laura Silvestri

Giffoni 55, Benji e Fede di nuovo insieme: il duo si racconta tra sogni e speranze (e Sanremo?)

Benji e Fede arrivano a Giffoni, dove sono ospiti del podcast Pezzi: dentro la musica di Luca Dondoni, Andrea Laffranchi e Paolo Giordano. Cosa avranno raccontato ai ragazzi?

Tra i tanti nomi che stanno popolando il Giffoni Film Festival in questi giorni, spunta anche quello di Benji e Fede, affiatati più che mai, e sempre pronti a scrivere un nuovo capitolo della loro vita musicale. Ospiti al podcast “Pezzi: dentro la musica” di Luca Dondoni, Andrea Laffranchi e Paolo Giordano, i due ragazzi non si nascondono di certo, e parlano di passato, presente e futuro con grande consapevolezza e maturità.

Sia io che Fede abbiamo passato tante cose insieme, oltre a un periodo divisi in cui son successe tante cose” esordisce BenjiFa parte della crescita: crescere comporta anche avere delle responsabilità diverse e affrontare il mondo, scoprire che il mondo non è proprio come ce lo si aspetta. Però sono questew le cose che poi ti fanno crescere, diventare adulto. E adesso che siamo ritornati insieme, ci siamo ricordati quanto è importante aiutarsi a vicenda” continuando a raccontare come l’onestà e la trasparenza sia alla base del loro rapporto d’amicizia come professionale.

Tant’è che uno dei “metodi” più efficaci per sfornare sempre pezzi migliori sembra essere il “lavoro di fino” voluto soprattutto da Fede: “Come mi rompe le palle lui su una canzone, nessun altro” scherza Benji, spiegando come però, con ogni nuova versione del brano, nota dei miglioramenti evidenti in un qualche aspetto.

Dedizione che i ragazzi vogliono dedicare anche al brano che, si spera un giorno, porteranno a Sanremo, dopo la “quasi” partecipazione dello scorso anno: “Proporremo una canzone molto autentica, molto nostra, e speriamo e vedremo se Carlo capirà questo viaggio” anticipa Benji. Dopotutto, spiega Fede, “penso da sempre che andare sul palco con la canzone sbagliata crei una disconnessione, disunisca le persone, e non vorrei incappare in quello“.

Ma in che senso sbagliata? “Noi non vorremmo andare a Sanremo con qualsiasi canzone pur di andarci. Come ha detto Fede, se hai la canzone sbagliata, che per quanto possa essere bella commercialmente, non ci direziona dove vogliamo veramente andare… Piuttosto che fare quello, preferiamo non andare. L’obiettivo è andarci con una canzone che ci rappresenti veramente e possa dare il via a una direzione musicale molto coerente” precisa Benji.

E dove vogliono essere tra 3, 4, 5 anni Benji e Fede? “Vorrei semplicemente, anche vivendo alla giornata, portare a casa qualcosa che forse, per la prima volta, sento visceralmente e sono sicuro che possa arrivare allo stesso modo alle persone. È un desiderio ambizioso, ma penso che, per come siamo fatti noi, sia l’unica possibilità per stare bene internamente e per essere coerenti con le persone che stiamo diventando” ammette Fede.

E per scoprire cos’altro hanno raccontato Benji e Fede al Giffoni, vi invitiamo a seguire l’episodio del podcast a loro dedicato su Spotify in uscita nelle prossime ore.

Foto e articolo di Laura Silvestri

Giffoni 55, Antonio Manetti: “Fate, studiate e ricominciate a sognare!”

Antonio Manetti incontra giovani aspiranti attori e registi al Giffoni, mentre la kermesse ospita la proiezione di una delle più recenti opere dei Manetti Bros., U.S. Palmese.

Il 22 luglio a Giffoni approda “una metà” dei Manetti Bros., Antonio Manetti, che durante l’incontro con i Giffoners, in particolare coloro che aspirano a una carriera nel mondo del cinema, ha raccontato un po di sé, della sua vita professionale, e del rapporto con suo fratello Marco, con cui collabora da anni per confezionare sempre nuove, accattivanti storie per piccolo e grande schermo.

Siamo due fratelli cresciuti insieme. Abbiamo due anni di differenza, e avevamo una sola camera da letto dove dormivamo insieme fino alla maggiore età. In questo periodo di convivenza totale, era impossibile non legare: stessi amici, stessi interessi, stessi riferimenti culturali… La parte delle arti l’abbiamo condivisa proprio totalmente. Stessi dischi, stessi concerti, stessi fumetti e, soprattutto, i film. Quella è forse la passione che ci ha unito di più. Registravamo tutti i film che passavano in TV” spiega Antonio, rispondendo alle domande dei ragazzi su come sia nato e su come funzioni il rapporto lavorativo con il fratello, aggiungendo poi che tutto partì da dei corti cinematografici. “Marco cominciò a fare la gavetta nel mondo del cinema, mentre io iniziai a scrivere un corto. Una volta tornato da un viaggio, Marco scoprì questo corto che stavo scrivendo e la mia volontà di lavorare nel suo stesso mondo, e disse: ‘Bello, conosco un produttore… Perché non lo realizziamo insieme?’“.

Dopotutto, rivela, a loro basta raccontare storie, e anche se tra fratelli non sempre si va d’accordo, non hanno mai problemi di “competizione” nel lavorare insieme. “La meta è la stessa. Certo abbiamo caratteri diversi, modi diversi, a volte anche i gusti sono diversi. Per questo noi sul set ci dividiamo totalmente. Abbiamo deciso piano piano, ma in maniera molto spontanea, che ognuno di noi fa qualcosa di specifico, anche se all’occorrenza possiamo darci ovviamente una mano a vicenda. Io per esempio sono operatore di macchina, che ho imparato a fare già dai tempi dei video musicali. Mentre Marco è quello che mette in scena con gli attori, fa le prove con loro ecc.“.

E per chi vorrebbe seguire le loro orme e aspirare a una carriera da regista, Antonio ha qualche consiglio? Sì, ma a quanto pare nel corso del tempo la sua risposta a questa domanda, che a lui e al fratello è stata posta tante volte, è un po’ cambiata: “A questa domanda diventa sempre più difficile rispondere per me. Perché quando noi abbiamo iniziato, giravamo ancora in pellicola. Poi è nato il digitale, quindi abbiamo iniziato a girare in digitale. E adesso si gira in digitale, tranne quei tre o quattro registi che un po’ se lo possono permettere, un po’ fanno una follia da artisti… E quando è nato il digitale, eravamo tutti un po’ spaventati. Per cui il consiglio che davamo era ‘Fate! Non aspettate! Non provate ad aspettare se vi convince tutto nei minimi dettagli, se avete i mezzi, fate! Avewte questa fortuna, prima con la pellicola non si poteva tanto fare, ma ora… Ed è un palestra, più si fa, più si diventa bravi’. E poi, così si poteva vedere se davvero si voleva perseguire una carriera che è molto difficile. Provare a farlo, era un modo di capire se ti piaceva veramente“.

Adesso però i tempi sono cambiati, e anche i mezzi: “Oggi però che dico ‘Fate!’, già fanno tutti. Ci sono i telefoni, c’è TikTok, c’è YouTube… Chiunque gira ormai, no? Quindi un consiglio che mi sento più di dare, anche se mi sento vecchio a dirlo, e vado quasi all’opposto: Studiate! Forse sì, bisogna un po’ studiare, dato che fare è diventato più facile, tutti lo facciamo con la nostra ‘videocamera in tasca’. E studiare non vuol dire solo fare, pagare, andare a scuola, cambiare città, che comunque aiuta tantissimo a entrare in questo mondo. Per me studiare vuol dire vedere film, analizzarli, capirli, anche quelli che non ti piacciono. Sforzarsi ad ampliare i propri orizzonti. Oltre, ovviamente, al fare!“.

E Antonio, venuto a ritirare anche per conto di suo fratello il Premio Truffaut, ha poi fatto un salto anche qualche minuto prima della proiezione del loro film del 2024 U.S. Palmese, una commedia girata in Calabria con protagonista Etienne, un grande campione di calcio che sta attraversando un periodo complicato “e quindi non sogna più” spiega Manetti e Don Vincenzo, un anziano appassionato di calcio che chiede soldi al paese per portare questo campione nella squadra locale “e che quindi sogna. Per cui il nostro film vuole essere un messaggio di speranza per i giovani, per dirvi, almeno metaforicamente, di ricominciare a sognare tramite questo rapporto tra i due, cioè un anziano che continua a sognare e un giovane che non sa più come sognare“.

Foto e articolo di Laura Silvestri

Giffoni 55, Toni Servillo incontra i ragazzi: “Diventare umani significa condividere un tempo”

Toni Servillo fa tappa al Giffoni Film Festival per incontrare i ragazzi e ricordarci, richiamando il tema scelto per la manifestazione per quest’anno, di essere tutti un po’ più umani.

Toni Servillo incontra i ragazzi a Giffoni 55

Quando sei Toni Servillo, non sono necessarie molte presentazioni… E infatti, i ragazzi del Giffoni sapevano benissimo chi si trovavano di fronte quando, il 21 luglio 2025, hanno riempito le poltroncine della Sala Truffaut e hanno rivolto la loro curiosità alla vita, al pensiero e alla carriera dell’interprete di Jep Gambardella.

E proprio rispondendo a una domanda su un film di Paolo Sorrentino, L’Uomo in Più, Servillo ne approfitta per rimarcare non solo la grande stima nei confronti del regista de La Grande Bellezza, con cui ha ormai collaborato più e più volte, ma anche l’importanza di avere dei valori.

Nel suo film d’esordio Paolo Sorrentino manifestava già in maniera evidente questo interesse che lui ha nel raccontare dei personaggi colti nel momento in cui stanno per raggiungere il successo e poi conoscono il declino” spiega.

E riallacciandosi a quanto accade ai personaggi del film, aggiunge: “È molto importante coltivare dei valori, farli propri, e soprattutto poi diffonderli nella società. In questo momento così terribile che attraversiamo soprattutto la vostra generazione, ma anche la mia naturalmente, deve farsi carico di un valore fondamentale che è la vita. Perché da tanti punti di vista la vita viene oltraggiata, viene messa in pericolo, non si dà il diritto alla vita. Si uccide per poco o per nulla, vittime innocenti di qualcosa che sta al di sopra di loro e pagano con la loro vita. Questo è un disvalore. Il cinema deve raccontare anche questo, non può raccontare solo delle buone favole. Forse probabilmente proprio perché si rafforzino certi valori è necessario raccontare come questi valori, a volte, nella vita, vengono vilipesi”.

Un discorso che va a nozze con il tema di Giffoni 55, “Becoming Human – Diventare umani“. Ma come fare? “Questa palestra per diventare umani io la devo tutta alla mia esperienza soprattutto teatrale” rivela.

Il teatro è una delle ultime esperienze di spettacolo che è totalmente affidata a una condivisione umana; a uno spazio e a un tempo condiviso che è umano; a uno sforzo fisico e intellettuale, a una concentrazione che è umana” spiega poi “Anche le prove mettono alla prova la tua capacità di essere umano, di poter condividere difficoltà, ambizioni, gioie, frustrazioni, fallimenti, successi… E questo lo fai nel periodo in cui provi uno spettacolo. Nel tempo, con queste persone condividi un’esperienza profondamente umana. Esattamente il contrario del condividere delle esperienze nell’abisso di uno schermo. Diventare umani significa condividere anche un tempo“.

E a proposito di condividere tempo ed esperienze, proprio sulla collaborazione con il già citato Sorrentino, con cui ha appena finito di lavorare a un nuovo film, non saprebbe dire cosa la rende così unica: “Abbiamo appena girato il settimo film insieme, e ci divertiamo molto a non darci una risposta a questo [quesito], perché se dovessimo farne un ottavo, dovremmo mantenere questo mistero!“.

Una volta un produttore cinematografico, un amico, ha usato un’espressione che io ho fatto mia perché la trovo molto giusta… Ha detto che ci siamo fatti del bene reciproco. Il che sottolinea che più che una relazione professionale, ormai, è una relazione umana. Io gli devo molto, e lui sicuramente deve qualcosa anche a me. Ma io gli devo moltissimo perché, pur non essendo stato il regista con cui ho fatto il mio primo film, è stato il primo regista che mi ha offerto l’opportunità di interpretare un protagonista a tutto tondo. Perché è uno straordinario sceneggiatore ancor prima di essere un grande regista, uno straordinario dialoghista, e la sceneggiatura e i dialoghi per un attore sono essenziali, sono la prima cosa“.

Davvero non lo so” ammette, continuando nella sua disamina “Perché se lo sapessi, significherebbe che abbiamo quella formuletta che applichiamo ogni volta in maniera automatica, e questo sarebbe molto triste. C’è qualche cosa di misterioso. Evidentemente lui sente che io ho una certa docilità nell’adattarmi al suo universo. Qualche volta ha detto che mi considera un suo fratello maggiore. Ha scritto un film in cui interpreto addirittura suo padre. Ci vogliamo molto, molto bene, e ogni tanto sentiamo la necessità di soccorrerci l’uno con l’altro, lui facendo il regista e io l’attore“.

E prima di ricevere il Premio Impact 2025 dalle mani di Claudio Gubitosi, ideatore, fondatore e direttore del Giffoni Film Festival, Servillo rivela ai ragazzi che aspirano a diventare attori di non considerare la recitazione come una carriera: “Non ho mai pensato che questa fosse una carriera. Quando avevo la vostra età, non credevo che questo sarebbe stato il mio lavoro. Capita da ragazzi di coltivare il sogno della scrittura e si tiene un diario, o di comprare un album da disegno e cominciare ad esercitarsi per dipingere. Capita di avere un microfono e mettere su una band con gli amici. Ma io sono stato proprio ferito dalla scoperta del teatro, e ho cominciato a fare teatro a circa 17 anni, con dei compagni di scuola, con cui ho formato la mia prima compagnia. Ma quando dicevo che non pensavo fosse una carriera, l’ho fatto con assoluta libertà, senza aspettarmi niente, perché credo che questa sia una spinta essenziale per fare questo lavoro. Non va interpretata come un’occupazione, perché la società non ti chiede di fare questo. Devi essere tu a scoprire nel tempo se hai un talento, e se questo talento ha qualcosa da dire agli altri che serva agli altri. Questo lo si scopre piano piano. Ma immaginare già che diventi subito un’occupazione con una retribuzione, che diventi un posto… Mi rendo conto che quando ho iniziato io tanti anni fa il mondo era un posto piuttosto diverso, e oggi in tutte le cose è entrato in maniera prepotente, a gamba tesa, il mercato. Per cui tutto costa qualcosa, tutto va venduto. Ecco, chi vuole fare queste cose, secondo me, parte col piede sbagliato“.

E in conclusione, afferma: “Oggi vogliono renderci piatti e farci credere che la finzione di certi orribili “reality” sia vera. L’attore, invece, è l’antitesi di questo: lavora sulla finzione per ottenere la realtà“.

Foto e articolo: Laura Silvestri

Citadel – Recensione e Incontro Stampa: Le Spie di Prime Video Invadono Roma

I produttori e il cast di Citadel hanno reso la città Eterna il loro luogo di ritrovo per un evento di portata globale: la nuova spy series di Prime Video è stata presentata in anteprima a Roma. Leggete il nostro rapporto della missione per sapere come è andata!

Rapporto missione Citadel. Roma, 21 aprile. Il cast e i produttori della nuova serie tv di Prime si recano in piazza della Repubblica. Ad attenderli una folla composta da addetti stampa, fotografi e studenti. La città è in fermento. Di seguito, quanto accaduto.

Niente CIA, niente FBI. Pesci troppo piccoli, “squadrette di serie B”, come fa notare anche l’agente Nadia Sinh interpretata da Priyanka Chopra Jonas. Qui, al centro di tutto, è Citadel, l’agenzia indipendente di spionaggio internazionale più rispettata e temuta, almeno da coloro che credono alla sua esistenza. Ma cos’è una leggenda se non una fiaba per della buonanotte per alcuni, un mito da sfatare per altri, e un obiettivo da annientare per chi, come l’organizzazione nota con il nome di Manticore, punta al predominio globale assoluto?

Queste le premesse della nuova serie TV in arrivo il 28 aprile su Prime Video, che vede tra le menti creative che vi hanno lavorato i registi del MCU Anthony e Joe Russo, la produttrice Angela Russo-Ostat e il produttore esecutivo David Weil, tutti presenti in sala durante la proiezione dei primi due episodi, assieme ai membri del cast principale Richard Madden, Stanley Tucci e Priyanka Chopra Jonas, in occasione dell’anteprima italiana dello show.

L’aspetto più interessante di Citadel risiede senz’altro nel concept stesso della serie, l’idea di un universo televisivo che partirà dalla serie madre, per poi espandersi con svariati spin-off inerenti a differenti location (sono già in sviluppo quello italiano, con Matilda De Angelis, e quello indiano). “Stiamo costruendo una comunità di storie e storyteller in tutto il mondo per raccontare un’unica grande storia” spiega Joe Russo, che in compagnia del fratello Anthony, hanno già avuto il difficile compito di sviluppare universi narrativi di incredibile portata.

E allora ecco che vediamo gettarne le basi fin dai primi, esplosivi minuti del primo episodio, in cui ci vengono presentati Mason Kane (Richard Madden) e Nadia Sinh (Pryianka Chopra Jonas), affiatata coppia di spie guidata da Bernard Orlick (uno Stanley Tucci che è sempre una garanzia), che tuttavia si ritroverà nei guai assieme all’intera organizzazione quando una missione apparentemente di routine innesca la loro disfatta e lo scioglimento forzato di Citadel… Almeno fino a 8 anni dopo, quando Mason, privo di memoria, ricompare sui radar amici e nemici.

Senza spoilerarvi troppo di ciò che vedrete sullo schermo, tra valigette da trovare, ricordi da recuperare e minacce da sventare, possiamo dirvi che non vi troverete certo di fronte il più originale dei prodotti di genere, anzi, tra omaggi voluti o meno, la natura di Citadel è piuttosto derivativa dei grandi titoli del passato e del presente, – da Bourne a Bond -. Non è dunque un’unicità di contenuto che va ricercata in questo show, quanto ciò che più può portarvi a seguire passo passo le avventure dei suoi protagonisti.

Tra le motivazioni principali, possiamo offrirvene noi un paio: la prima è senz’altro il cast dello show, che si prende gran parte del merito di un suo eventuale successo, e anche in caso di flop sarà comunque visto come una delle sue “saving grace“. Dopotutto, ciò che sanno fare meglio queste spie, oltre a darle di santa ragione (le scene d’azione non deludono, pur non facendo balzare lo spettatore dalla sedia) è interagire tra loro. Il trio Madden-Chopra-Tucci viene consolidato fin da subito – anche se Tucci è lì a guidarli da remoto per la maggior parte del tempo – e soprattutto le battute di quest’ultimo e come vengono eseguite contribuiscono ad elevare il livello d’intrattenimento.

La chimica tra le due spie di punta di Citadel è palpabile, anche se come coppia meritavano probabilmente un’origin story meno frettolosa (ma non è detto che non venga ampliata nei successivi episodi). È comunque chiaro come il loro rapporto sia alla base della storia, e c’è ancora tanto da scoprire al riguardo (Nadia sembra avere parecchio da nascondere, ma anche Mason può riservare ulteriori sorprese). E, tornando al discorso delle interpretazioni, le star di Quantico e di Game of Thrones sono più che azzeccate nei rispettivi ruoli. Madden, ad esempio, sembra avere tanto da dire in un ruolo che gli permette di dare prova di tutta la sua abilità attoriale: “Mason è questa spia incredibilmente figa, ma poi vediamo un lato totalmente diverso di lui. La sua memoria viene cancellata, e ci troviamo di fronte un uomo normale, con cui l’audience dovrà partire per un viaggio senza precedenti. Il pubblico vedrà attraverso i suoi occhi quello che è il mondo di Citadel, e scoprirà molto di più su di lui, Nadia e tutti gli altri giocatori in campo” anticipa l’attore.

Incuriosiscono, poi, i legami tra i vari personaggi; funziona il trope già collaudato della “spia tra le spie”, che vedremo dipanarsi nel corso dello show, e in generale vengono applicati tanti di quei cliché di genere – alcuni necessari e anche ben congegnati, altri meno – che si avrà sempre l’impressione di avere a che fare con qualcosa di familiare, anche quando Citadel prende una propria strada. Se questo, però, può essere visto come un bonus o un malus, sarà lo spettatore che dovrà deciderlo.

Tra gli appunti che potremmo fare a Citadel, almeno per quanto riguarda i primi episodi, il più pressante riguarda probabilmente il pacing: un ritmo così frenetico non giova alla narrazione, e soprattutto alla costruzione dei dialoghi, che spesso si riducono a dei botta e risposta ad effetto tra i personaggi per sostituire un’esposizione a tratti un po’ confusionaria, a tratti un po’ troppo “on the nose“. Ok che le spie vanno di fretta, ma non è sempre un bene rispecchiare questa caratteristica anche nel modo di raccontare la loro storia.

Detto ciò, resta da vedere come proseguirà lo show per poter giudicare al meglio. Non sappiamo come verranno sfruttate ambientazioni e tempistiche nei restanti episodi (ad esempio, si potrebbe argomentare che passiamo davvero poco tempo nelle varie location, ma probabilmente sarà a discrezione dei prossimi episodi e degli spin-off ampliare tutto in tal senso), né quanto verranno approfonditi i vari personaggi e le loro backstory (tuttavia, dovrà giocoforza essere un “di molto” la risposta a questa domanda), per cui allacciate le cinture, perché le spie di Citadel (e la sinistra Manticore) sono in agguato!

I primi episodi di Citadel saranno disponibili su Prime Video a partire dal 28 aprile, con un nuovo episodio in uscita ogni venerdì fino al 26 maggio.

Laura Silvestri

Info

Titolo: Citadel

Durata: 6 episodi

Data D'Uscita: 28 aprile 2023

Regia: Newton Thomas Sigel, Jessica Yu, 

Con: 

Richard Madden, Priyanka Chopra Jonas, Stanley Tucci

Distribuzione: Prime Video

Materiali Stampa: Prime Video, Laura Silvestri

Diabolik – Ginko all’attacco! Ovvero l’importanza di andare al cinema

Diabolik torna sul grande schermo con la seconda avventura targata Manetti Bros., un nuovo volto (quello di Giacomo Gianniotti) e la promessa di un ulteriore appuntamento cinematografico. Questo è Diabolik – Ginko all’attacco!

Il 17 novembre arriva nella sale Diabolik – Ginko all’attacco!, secondo film dedicato al ladro dai mille volti nato dalla fantasia delle sorelle Giussani. E anche questa volta sono due fratelli a dargli vita sul grande schermo, i Manetti Bros., che dirigono il sequel-non-sequel con protagonista Giacomo Gianniotti (subentrato nel ruolo dopo l’addio di Luca Marinelli, interprete del personaggio nella precedente pellicola).

Questo film non è un seguito, non è un sequel. Diabolik è un personaggio come James Bond, Batman, Sherlock Holmes, ovvero personaggi universali, e quindi l’idea è quella di raccontare un’altra storia, di realizzare un altro film. Quindi per noi non è un sequel, ma semplicemente un altro film” spiega Marco Manetti durante la conferenza stampa in occasione della presentazione del film a Roma, nella splendida cornice del nuovo Cinema Barberini.

E in effetti i connotati di “un altro film” come lo intende Manetti, Diabolik Ginko allattacco li ha, a partire per l’appunto dal diverso interprete per Diabolik. Ma portando la stessa firma del precedente, vi è continuità nello stile, nel tono, e va detto, anche in ciò che non funzionava con il primo lungometraggio.

Il ritmo prolisso, l’impostazione rigida, l’eccessiva esposizione dei fatti e quel tocco in più di kitsch che sfocia nell’eccesso non aiutano l’assimilazione di un film che, dal punto di vista estetico, dà invece tanto e dimostra tutta la maestria italiana nell’ambito della settima arte.

Se, infatti, la pellicola va premiata per restituirci una così fedele rappresentazione visiva di ciò che era il Diabolik dei fumetti e del suo spirito (l’albo che funge da ispirazione qui è il sedicesimo), se vanno assolutamente elogiati dipartimenti come quello dei costumi e della scenografia, se possiamo udire delle musiche scelte ad hoc – in questo film, oltre all’operato di Pivio e Aldo De Scalzi abbiamo anche il contributo di Diodato con un brano originale composto appositamente per il lungometraggio – abbinate anche alle distintive coreografie di Luca Tommassini, si fa ancora fatica a giungere al termine di quei 111 minuti senza remore, senza pensare che non si potesse sistemare (più di) qualcosa qua e là (specialmente in termini di dialoghi).

Per quanto riguarda i protagonisti della vicenda, Gianniotti si dimostra un Diabolik più calato nel ruolo e meno stoico di quello di Marinelli, e Miriam Leone conferma il suo essere la scelta perfetta per la parte di Eva Kant, che anche qui trova il modo di risaltare rispetto ad altre figure e si impone come uno dei migliori personaggi del film; sembrano funzionare in buona misura anche le nuove aggiunte, come il personaggio interpretato da Alessio Lapice, Roller, e la Duchessa Altea di Monica Bellucci, che ci permette di vedere un altro lato del Ginko di Valerio Mastandrea (tuttavia quest’ultimo, sebbene questa volta sia addirittura tra i personaggi titolari, paradossalmente sembrava brillare di più e sostenere maggiormente il peso della pellicola nel precedente appuntamento cinematografico).

Non dimentimentiamoci infatti di uno dei temi principali della pellicola, come rimarcano anche gli stessi registi: si tratta un film all’insegna dell’amore, dell’amore tra Ginko e Altea, ma anche di quello tra Diabolik e Eva, entrambi messi costantemente alla prova dalle circostanze, ma con differenti declinazioni ed esiti.

Nel primo film Diabolik impara ad amare, incontrando Eva. Questa era la storia del precedente capitolo, in cui un essere disumano e glaciale come Diabolik incontra questa donna totalmente complementare a lui che gli insegna l’amore, e nel secondo Giacomo (Gianniotti) gli ha dato quell’anima che c’era bisogno che in questa storia ci fosse. Per cui questo è un Diabolik che ama e che si contrappone alla coppia di Ginko e Altea, che si amano tantissimo, ma che schiavi dell’immagine, delle regole della società, non possono esprimere il loro amore con la stessa libertà di Diabolik ed Eva” conviene ancora Marco Manetti.

É pertanto interessante vedere sullo schermo l’evoluzione di personaggi appartenenti ad un’epoca differente, con caratteristiche chiaramente anacronistiche rispetto ad oggi, ma in un qualche modo sempre impregnati di universalità, in cui ci si può sempre, almeno in parte, rispecchiare (speriamo non quella della propensione alle rapine e le uccisioni, chiaramente).

Diabolik – Ginko all’attacco! non sarà forse una delle visioni più scorrevoli che potreste trovare in circolazione, dunque, ma oggi più che mai non sbaglieremmo nel dire che è estremamente importante dare una chance a questo titolo, perché al di là di quelli che possono essere i suoi difetti (percepiti o effettivi), rappresenta comunque un grande passo avanti nella produzione cinematografica italiana.

Se vogliamo che il cinema nostrano progredisca, se vogliamo che osi di più, che non ci offra solo cinepattoni e simili (i quali, nonostante tutto, non si possono privare dei loro meriti), se vogliamo pensare in grande e fare altrettanto, non si dovrebbero ignorare produzioni come Il Primo Re o lo stesso Diabolik – per prendere come riferimento due diversissimi prodotti del cosidetto cinema di genere di fattura italiana – e ovviamente sarebbe augurabile non ignorare il secondo e il terzo film (quest’ultimo già girato e prossimanente in arrivo) dedicati al ladro dagli occhi di ghiaccio.

Poi, naturalmente, ognuno fa quel che vuole, ci mancherebbe. Ma andare al cinema è difficilmente una cattiva idea, non trovate?

Diabolik – Ginko all’attacco! è dal 17 novembre al cinema grazie a 01 Distribution.

Laura Silvestri

Info

Titolo Originale: Diabolik - Ginko all'attacco!

Durata: 111'

Data D'Uscita: 17 novembre 2022

Regia: Manetti Bros.

Con: 

Giacomo Gianniotti, Miriam Leone,
Valerio Mastrandea, Monica Bellucci,
Alessio Lapice, Linda Caridi

Distribuzione: 01 Distribution

Materiali Stampa: 01 Distribution  

Thor: Love and Thunder – Amore, dolore, avventure (e capre urlanti) nel nuovo film Marvel con Chris Hemsworth e Natalie Portman

Chris Hemsworth e Natalie Portman sono le incarnazioni del Dio del Tuono nel nuovo film del MCU diretto da Taika Waititi, Thor: Love and Thunder, che vede anche il ritorno di Tessa Thompson nel ruolo di Valkyrie e il debutto di Christian Bale nei panni di Gorr il Macellatore di Dei.

Con tutto quello che sta succedendo nel Marvel Cinematic Universe, era da un po’ che non davamo un’occhiata a quello che sta combinando il Dio del Tuono, ma grazie al quarto capitolo della saga, Thor: Love and Thunder, ci troviamo di fronte a una miriade di Dei e non uno, ma ben due Thor, e ragazzi, se non hanno avuto da fare anche loro!

Mentre un semplice ma efficace incidente scatenante mette in moto la storia – Gorr il Macellatore di Dei, il riuscitissimo villain interpretato da Christian Bale (con cui sarà particolarmente difficile non empatizzare, almeno in parte), tiene fede al suo nome e ci mostra come è diventato tale facendo strage di ogni divinità che incontra sulla sua strada -, il film si incarica di spogliare (anche letteralmente, come avete visto dai trailer) i suoi protagonisti, con un Thor (Chris Hemsworth) che rifugge dai sentimenti per paura di restare nuovamente ferito e solo, e una Jane Foster (Natalie Portman) alle prese con una delle battaglie più difficili che la vita possa riservare, una malattia che sfugge al controllo umano.

Jane sta affrontando una sfida estremamente ardua e terrificante. E il suo modo di farlo è cercare di mantenere una certa agency, un minimo di capacità d’azione su qualcosa che è in realtà al di fuori del suo controllo” spiega Natalie Portman durante la conferenza stampa italiana di Thor: Love and Thunder, e ringrazia di cuore Taika Waititi, Kevin Feige e il resto della produzione per aver riportato sullo schermo “una donna ebrea, quarantenne alta un metro e sessanta, madre di due figli” per interpretare ancora questo personaggio così sfaccettato, e di averle dato l’opportunità di vestire i panni di una supereroina.

Supereroina che, seppur alle prime armi, non se la cava certo male contro la minaccia rappresentata da Gorr, e che non sfigura affatto di fianco ai già rodati Thor di Hemsworth e Valkyrie (Tessa Thompson) e all’esilarante Korg (Waititi) che non manca mai di lasciare il segno. Da un punto di vista narrativo, sono loro gli agganci emotivi del film, ma c’è spazio anche per diverse comparse (tornano Matt Damon, Sam Neill e Luke Hemsworth con i cameo che potreste ormai aspettarvi da loro, ma anche altre star più o meno annunciate, a partire dallo Zeus di Russell Crowe) che a seconda dei casi si ritrovano (quasi) a rubare la scena.

Sul piano formale e contenutisco Thor: Love and Thunder si dimostra un degno e coerente erede di Thor: Ragnarok – molto più di altri sequel nei confronti dei propri predecessori – pur lasciando spazio a nuovi spunti in entrambi i campi (noterete, ad esempio, delle trovate cromatiche alquanto ficcanti, per le quali bisogna ringraziare anche il direttore della fotografia Barry Baz Idoine).

Sperimenta ancora, Taika Waititi – anche co-autore della sceneggiatura assieme a Jennifer Kaytin Robinson -, si diverte a mischiare elementi visivi, musiche e tematiche, portandoci in giro per l’universo in un una fiaba cosmica, un viaggio all’insegna della ricerca d’identità, del superamento del dolore e, soprattutto, dell’amore, ma sempre con quella caratteristica ironia che contraddistingue le pellicole Marvel, e in particolare quelle targate proprio Taika Waititi.

Un’ironia gentile, mai a discapito di qualcun altro, osserva Portman: “Il suo è quel tipo di humor che richiede più intelligenza, perché è davvero difficile essere così divertenti e in modo così bizzarro, ma mantenendo sempre delle emozioni incredibilmente genuine e una tale generosità“. Chi, d’altronde, riuscirebbe a riprendere degli elementi mitologici e consegnarceli in una veste tanto inaspettata quanto esilarante – sì, parliamo (anche) delle capre urlanti che anticipavamo nel titolo -?

Che poi si siano divertiti tutti un mondo a girare Thor: Love and Thunder, è qualcosa di evidente in ogni momento del film, e le parole dell’attrice Premio Oscar arrivano solo a ribadire tale concetto: “Girare questa pellicola è stato un grande promemoria di quanto il nostro lavoro si basi sul gioco e sull’immaginazione. […] Per me ciò che vedete sullo schermo è stato frutto di una combinazione di preparazione e lasciarsi andare” afferma, aggiungendo che, come d’altronde accaduto con Ragnarok, anche qui molto è stato ottenuto grazie all’improvvisazione, una pratica più che incoraggiata da Waititi sui suoi set (“Taika è sempre alla ricerca di qualcosa di diverso in ogni scena“).

E chissà se anche il pubblico si divertirà un mondo a guardare le nuove avventure di Thor, anzi, dei Thor…

Thor: Love and Thunder è già al cinema (e ricordatevi, come sempre, di rimanere anche durante e dopo i titoli di coda!).

Laura Silvestri

Info

Titolo Originale: Thor: Love and Thunder

Durata: 119'

Data D'Uscita: 6 luglio 2022

Regia: Taika Waititi

Con: 

Chris Hemsworth, Natalie Portman, 
Christian Bale, Tessa Thompson 

Distribuzione: Disney

Materiali Stampa: Disney