Diabolik – Ginko all’attacco! Ovvero l’importanza di andare al cinema

Diabolik torna sul grande schermo con la seconda avventura targata Manetti Bros., un nuovo volto (quello di Giacomo Gianniotti) e la promessa di un ulteriore appuntamento cinematografico. Questo è Diabolik – Ginko all’attacco!

Il 17 novembre arriva nella sale Diabolik – Ginko all’attacco!, secondo film dedicato al ladro dai mille volti nato dalla fantasia delle sorelle Giussani. E anche questa volta sono due fratelli a dargli vita sul grande schermo, i Manetti Bros., che dirigono il sequel-non-sequel con protagonista Giacomo Gianniotti (subentrato nel ruolo dopo l’addio di Luca Marinelli, interprete del personaggio nella precedente pellicola).

Questo film non è un seguito, non è un sequel. Diabolik è un personaggio come James Bond, Batman, Sherlock Holmes, ovvero personaggi universali, e quindi l’idea è quella di raccontare un’altra storia, di realizzare un altro film. Quindi per noi non è un sequel, ma semplicemente un altro film” spiega Marco Manetti durante la conferenza stampa in occasione della presentazione del film a Roma, nella splendida cornice del nuovo Cinema Barberini.

E in effetti i connotati di “un altro film” come lo intende Manetti, Diabolik Ginko allattacco li ha, a partire per l’appunto dal diverso interprete per Diabolik. Ma portando la stessa firma del precedente, vi è continuità nello stile, nel tono, e va detto, anche in ciò che non funzionava con il primo lungometraggio.

Il ritmo prolisso, l’impostazione rigida, l’eccessiva esposizione dei fatti e quel tocco in più di kitsch che sfocia nell’eccesso non aiutano l’assimilazione di un film che, dal punto di vista estetico, dà invece tanto e dimostra tutta la maestria italiana nell’ambito della settima arte.

Se, infatti, la pellicola va premiata per restituirci una così fedele rappresentazione visiva di ciò che era il Diabolik dei fumetti e del suo spirito (l’albo che funge da ispirazione qui è il sedicesimo), se vanno assolutamente elogiati dipartimenti come quello dei costumi e della scenografia, se possiamo udire delle musiche scelte ad hoc – in questo film, oltre all’operato di Pivio e Aldo De Scalzi abbiamo anche il contributo di Diodato con un brano originale composto appositamente per il lungometraggio – abbinate anche alle distintive coreografie di Luca Tommassini, si fa ancora fatica a giungere al termine di quei 111 minuti senza remore, senza pensare che non si potesse sistemare (più di) qualcosa qua e là (specialmente in termini di dialoghi).

Per quanto riguarda i protagonisti della vicenda, Gianniotti si dimostra un Diabolik più calato nel ruolo e meno stoico di quello di Marinelli, e Miriam Leone conferma il suo essere la scelta perfetta per la parte di Eva Kant, che anche qui trova il modo di risaltare rispetto ad altre figure e si impone come uno dei migliori personaggi del film; sembrano funzionare in buona misura anche le nuove aggiunte, come il personaggio interpretato da Alessio Lapice, Roller, e la Duchessa Altea di Monica Bellucci, che ci permette di vedere un altro lato del Ginko di Valerio Mastandrea (tuttavia quest’ultimo, sebbene questa volta sia addirittura tra i personaggi titolari, paradossalmente sembrava brillare di più e sostenere maggiormente il peso della pellicola nel precedente appuntamento cinematografico).

Non dimentimentiamoci infatti di uno dei temi principali della pellicola, come rimarcano anche gli stessi registi: si tratta un film all’insegna dell’amore, dell’amore tra Ginko e Altea, ma anche di quello tra Diabolik e Eva, entrambi messi costantemente alla prova dalle circostanze, ma con differenti declinazioni ed esiti.

Nel primo film Diabolik impara ad amare, incontrando Eva. Questa era la storia del precedente capitolo, in cui un essere disumano e glaciale come Diabolik incontra questa donna totalmente complementare a lui che gli insegna l’amore, e nel secondo Giacomo (Gianniotti) gli ha dato quell’anima che c’era bisogno che in questa storia ci fosse. Per cui questo è un Diabolik che ama e che si contrappone alla coppia di Ginko e Altea, che si amano tantissimo, ma che schiavi dell’immagine, delle regole della società, non possono esprimere il loro amore con la stessa libertà di Diabolik ed Eva” conviene ancora Marco Manetti.

É pertanto interessante vedere sullo schermo l’evoluzione di personaggi appartenenti ad un’epoca differente, con caratteristiche chiaramente anacronistiche rispetto ad oggi, ma in un qualche modo sempre impregnati di universalità, in cui ci si può sempre, almeno in parte, rispecchiare (speriamo non quella della propensione alle rapine e le uccisioni, chiaramente).

Diabolik – Ginko all’attacco! non sarà forse una delle visioni più scorrevoli che potreste trovare in circolazione, dunque, ma oggi più che mai non sbaglieremmo nel dire che è estremamente importante dare una chance a questo titolo, perché al di là di quelli che possono essere i suoi difetti (percepiti o effettivi), rappresenta comunque un grande passo avanti nella produzione cinematografica italiana.

Se vogliamo che il cinema nostrano progredisca, se vogliamo che osi di più, che non ci offra solo cinepattoni e simili (i quali, nonostante tutto, non si possono privare dei loro meriti), se vogliamo pensare in grande e fare altrettanto, non si dovrebbero ignorare produzioni come Il Primo Re o lo stesso Diabolik – per prendere come riferimento due diversissimi prodotti del cosidetto cinema di genere di fattura italiana – e ovviamente sarebbe augurabile non ignorare il secondo e il terzo film (quest’ultimo già girato e prossimanente in arrivo) dedicati al ladro dagli occhi di ghiaccio.

Poi, naturalmente, ognuno fa quel che vuole, ci mancherebbe. Ma andare al cinema è difficilmente una cattiva idea, non trovate?

Diabolik – Ginko all’attacco! è dal 17 novembre al cinema grazie a 01 Distribution.

Laura Silvestri

Info

Titolo Originale: Diabolik - Ginko all'attacco!

Durata: 111'

Data D'Uscita: 17 novembre 2022

Regia: Manetti Bros.

Con: 

Giacomo Gianniotti, Miriam Leone,
Valerio Mastrandea, Monica Bellucci,
Alessio Lapice, Linda Caridi

Distribuzione: 01 Distribution

Materiali Stampa: 01 Distribution  

1917 – La Recensione

Un eroico piano sequenza dentro gli orrori della Grande Guerra

6 Aprile 1917, nord della Francia. I giovani Caporali e amici Tom Blake (Dean-Charles Chapman) e Will Schofield (George McKay), vengono incaricati dal Generale Erinmore (Colin Firth) di recapitare un messaggio al secondo battaglione del Reggimento del Devonshire. In ballo c’è la vita di 1600 uomini, tra cui anche quella del fratello di Blake (Richard Madden). I tedeschi infatti, fingendo il ritiro e abbandonando la prima linea del fronte occidentale, hanno ripiegato sulla linea Hindenburg, nel tentativo di attirare il nemico in una trappola mortale. Le linee telefoniche sono interrotte, e ciò non permette al Colonnello Mackenzie (Benedict Cumberbatch) di ricevere l’informazione e fermare l’attacco. L’unico modo di evitare il massacro è recapitare il messaggio a voce. I due giovani dovranno attraversare le linee nemiche e consegnare la cruciale notizia per la salvezza di 1600 uomini.

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Ispirandosi ai racconti del nonno, Alfred H. Mendes, il regista Sam Mendes, con 1917 trascina lo spettatore in un turbine visivo senza tregua. La complicata missione dei due protagonisti è raccontata in tempo reale. Mendes utilizza infatti un one-shot artificioso (manipolato durante ed in post produzione così da apparire interamente girato in piano sequenza), che coinvolge lo spettatore al punto di restituirgli la sensazione di muoversi passo dopo passo al fianco dei due giovani ragazzi, vivendo ogni loro emozione. Non limitandosi ad un esercizio di stile, in questo caso più che mai, la forma è fondamentale e necessaria allo sviluppo narrativo.

Il rischio déjà-vu era dietro l’angolo, ma bisogna ammettere che Mendes riesce a non cadere in trappola. Lontano anni luce da i suoi predecessori, (inutile ricordare quanti capolavori ispirati al primo conflitto mondiale ha regalato il cinema alla storia in questo ultimo secolo), 1917, che alla sceneggiatura porta la firma di Krysty Wilson-Cairns, oltre che quella di Mendes stesso, si muove in un microcosmo strettamente personale. Al centro di tutto la collaborazione tra Blake e Schofield, magistralmente interpretati da Dean-Charles Chapman e George McKay. La complicità e il fitto scambio di battute tra i due è in grado di conferire ritmo ed emotività alla narrazione. Inoltre, la maestosità della messa in scena di Mendes non schiaccia mai il racconto umano. Ogni personaggio è in grado di restituire un peso specifico alla narrazione, il tutto in una manciata di attimi. Nessun volto occupa più di una scena, in una perfetta e bilanciata economia di racconto.

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Mendes chiarisce quanto per lui fosse essenziale che il pubblico vivesse una sensazione autentica e tangibile, quanto più possibile vicina a quella dei protagonisti. Insieme all’ormai leggendario direttore della fotografia Roger Deakins, ha quindi disposto quattro mesi di prove in cui è stata stabilita la struttura delle scene e la disposizione del set, insieme a mappe per gli attori e piani di gestione degli spazi, così da non arrivare impreparati una volta cominciate le riprese.

Un’impresa tutt’altro che semplice considerando anche che il film è girato in gran parte in esterni, e si è dovuto fare affidamento alla luce naturale. Lo stesso Deakins spiega: «Fin dall’inizio ci siamo resi conto di non poter usare troppa luce artificiale per illuminare le scene. Quando gli attori corrono lungo una trincea e si muovono a 360°, non c’è modo di piazzare luci da qualche parte». L’occhio attento di Deakins è in grado di restituire lo spessore emotivo della narrazione. La collaborazione con Mendes crea contrasti continui e mutevoli, in una narrazione che fluisce come un torrente in piena, in continua evoluzione. Tra amicizia e tragedia, speranza e orrore, la colonna sonora di Thomas Newman accompagna vigorosamente il tortuoso viaggio dei protagonisti.

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In 1917 si respira tecnica e passione, potenza e misura. Lontano dall’essere un complicato esercizio di stile, diviene un esperimento riuscitissimo, che forse proprio a causa della sua natura orizzontale, che fonde alla perfezione tecnica e narrativa, perde leggermente di incisività. Un difetto? Non necessariamente. Di fronte la visione (caldamente consigliata in una sala cinematografica) di 1917, lo spettatore è letteralmente trascinato all’interno dell’orrore, della solitudine della Grande Guerra. Vive e respira l’angoscia dei due protagonisti. L’illusione di questo unico e disperato piano sequenza è un diretto invito del regista a lasciarsi trasportare. Un’esperienza immersiva e totalizzante quindi, ben pensata, ottimamente realizzata e assolutamente da godere.

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1917 è dal 23 gennaio al cinema.

Diana Incorvaia

Info

Titolo: 1917

Durata: 119'

Data di Uscita: 23 gennaio 2020

Regia: Sam Mendes

Con: 

Dean-Charles Chapman, George MacKay, 

Colin Firth, Benedict Cumberbatch,

Richard Madden, Andrew Scott

Distribuzione: 01 Distribution

Cena con Delitto – Knives Out — La Recensione

Indovina chi (anzi, come) muore a cena

Lo scrittore di gialli Harlan Thrombey muore la sera del suo ottantacinquesimo compleanno, dopo una cena con tutta la famiglia al completo. La polizia lo classifica come suicidio, ma il Detective Benoit Blanc viene ingaggiato per risolvere un omicidio. Cosa sarà successo davvero? 

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Benvenuti in casa Thrombey, dove tutti nascondono qualcosa, e nessuno è innocente… O forse sì?

Nel giallo deduttivo di Rian Johnson niente è come sembra, e quando pensiamo di aver capito come è andata, ci viene provato il contrario. Ma non è esattamente questo quello che i migliori Murder Mystery dovrebbero fare? Già, ed è proprio ciò che abbiamo davanti.

Cena con Delitto – Knives Out (la prima parte del titolo è un’immancabile aggiunta nostrana) riprende la migliore tradizione letteraria e cinematografica e mette su un avvincente enigma che tiene incollati allo schermo, ma non solo perché si vuole arrivare a strecciare ogni nodo e sciogliere ogni dubbio su cosa sia davvero successo la notte del suicidio/omicidio, come è normale che sia. Già dai primi minuti della pellicola, infatti, si viene catapultati nelle dinamiche personali e famigliari di casa Thrombey, nei problemi e nei segreti dei membri della ricca famiglia, ma anche degli “outsider”, ed è impossibile non iniziare a prendere le parti di uno o più di loro fin da subito. Perché a seconda del momento, vorrete risolvere il caso con il Detective Benoit Blanc (Daniel Craig), o mandare tutti a quel paese come fa Ransom (Chris Evans), o passare un po’ di Biochetasi alla povera Marta (Ana De Armas), che è affetta da conati di vomito ogni volta che mente – no, non stiamo scherzando -.

MORNING BELL

Divertente, graffiante (diremmo quasi… affilata), sorprendente, la sceneggiatura di Johnson, che non si lascia scappare nemmeno un’occasione per inserirvi una citazione illustre, un commento a sfondo politico, o un easter egg inaspettato – va da sé, ormai, che l’ideale sarebbe vederlo in versione originale per poter cogliere tutto al meglio -, e che riesce a rendere anche il più “apparentemente innocuo” riferimento ficcante ed essenziale.

Ma se, quindi, il 50% del lavoro è frutto dell’operato del regista/sceneggiatore/produttore, l’altro 50% è tutto riconducibile al cast stellare del lungometraggio – da Christopher Plummer a Jamie Lee Curtis, da Ana De Armas a Chris Evans, da Michael Shannon a Daniel Craig, per non parlare di Toni Collette, Don Johnson e persino l’iconica K Callan -, che si dimostra l’ensemble perfetto, e dona ancora più carattere a un film che, di per sé, ne aveva già in abbondanza.

E anche se, secondo i nostri calcoli, andiamo fuori di percentuali, la resa finale non sarebbe stata la stessa senza gli accorgimenti tecnici di cui è dotato Cena con Delitto – Knives Out: le inquadrature strategiche, il posizionamento e la scelta della musica, la scenografia ammiccante, ma mai invadente (nonostante questo potesse essere uno dei maggiori rischi), e in generale il modo in cui viene ricreata un’atmosfera così fuori dal tempo, ma anche estremamente attuale, non fanno che aggiungere valore al prodotto.

E, per i fan dell’etica e della morale, ci sarà sicuramente di che discutere. Non solo ci viene proposto un whudunnit entusiasmante e degno della migliore Agatha Christie, ma non viene nemmeno a mancare la lezione di vita… Che però scoprirete solo al cinema, e solo grazie alla morte del “povero” Harlan.

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Cena con Delitto – Knives Out è dal 5 dicembre al cinema.

Laura Silvestri

Info

Titolo Originale: Knives Out

Durata: 130'

Data di Uscita: 5 Dicembre 2019

Regia: Rian Johnson

Cast:

Daniel Craig, Christopher Plummer,

Chris Evans, Ana De Armas, 

Jamie Lee Curtis, Michael Shannon, 

Don Johnson, Toni Collette

Distribuzione: 01 Distribution

Gli Uomini D’Oro – La Recensione

Non è tutto oro quello che luccica

Tre uomini che più diversi tra loro non potreste trovarne; tre motivazioni differenti; tutti uniti dal destino e dalla voglia di cambiare la propria vita. Luigi (Giampaolo Morelli), Alvise (Fabio De Luigi) e Il Lupo (Edoardo Leo) tenteranno il colpo del secolo, almeno per loro, ma non tutto andrà come sperato… 

Ispirato da una storia vera, Gli Uomini D’Oro è ambientato a Torino, nel 1996, e gioca sulle insoddisfazioni della vita per regalarci un film difficile da categorizzare – ma, come dice anche il regista, Vittorio Alfieri, «Il sogno della mia vita è che un giorno la gente non debba chiedersi che [genere di] film sto facendo» – , con accenni di Heist Movie, Crime, Noir, Dramma e anche un po’ di Commedia, dando vita a un prodotto dalla forma e dalla sostanza davvero inaspettato.

Un playboy, un uomo di famiglia e un ex-pugile entrano in un bar… Sembra l’incipit di una barzelletta, e invece è fondamentalmente la situazione in cui ci ritroviamo verso metà film, e a cui arriveremo man mano che gli eventi sullo schermo avranno luogo, raccontate da tre punti di vista differenti, quelli, appunto, dei tre protagonisti. Il gruppetto che si è formato così, un po’ per caso, a causa delle circostanze, non è nemmeno un vero gruppo: ognuno di loro ha in mente un obiettivo, una vita migliore a cui aspira, con delle motivazioni del tutto differenti dagli altri. Stremati dalla dura realtà, Luigi e Alvise ideano un piano per impadronirsi dei soldi che normalmente trasportano con il furgone portavalori di cui sono incaricati. Al colpo partecipano anche, con ruoli e rilevanza diversa, Luciano (Giuseppe Ragone) e Gina (Mariela Garriga), mentre ne rimangono all’oscuro la moglie di Alvise, Bruna (Susy Laude), e la ragazza frequentata da Luigi, Anna (Matilde Gioli).

Colpo che occuperà una buona metà della pellicola, mentre per il resto del lungometraggio avremo a che fare con le sue conseguenze, oltre che ai diversi approcci forniti dal triplice sguardo all’intera vicenda.

Più serio di quanto ci si possa immaginare, il racconto messo in atto da Alfieri e dallo stuolo di attori a disposizione, che qui si cimentano in dei ruoli che i più potrebbero ritenere anticonvenzionali, basandosi su i personaggi che hanno finora portato sullo schermo (De Luigi, in particolare, sembra aver stupito particolarmente il pubblico in sala per la sua intensità drammatica, specialmente vista la sua attitudine per la commedia), Gli Uomini D’Oro insiste in 110 minuti di coinvolgente cinema, né troppo scontato (anzi, difficilmente prevedibile in fatto di impostazione e risoluzione), né troppo “impastato”. La commistione di generi può provocare un leggero stracciamento in fase iniziale, ma funziona, e permette un diverso aggancio a quelli che sono desideri, problematiche, idiosincrasie, timori e aspirazioni comuni a tutti.

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Bravo dunque il trio protagonista, buona performance anche da parte del cast di supporto, con le donne “di casa” – si fa per dire – che muovono i tasselli giusti (sbagliati) al momento giusto (sbagliato), per far sì che la storia finisca come deve finire… In un qualche modo.

Troverete Gli Uomi D’Oro dal 7 novembre al cinema.

Laura Silvestri

Info 

Titolo: Gli Uomini D'Oro

Durata: 110'

Data di Uscita: 7 novembre

Regia: Vincenzo Alfieri 

Con:

Fabio De Luigi, Edoardo Leo,

Giampaolo Morelli, Giuseppe Ragone, 

Mariela Garriga, Matilde Gioli, 

Susy Laude, Gian Marco Tognazzi

Distribuzione: 01 Distribution

Beautiful Boy – A Milano Il Film In Anteprima Al Cinema Colosseo

 

Martedì 28 maggio 2019, ore 21.00
Milano – Cinema Colosseo – Viale Monte Nero, 84

In anteprima in Sala Biografilm

BEAUTIFUL BOY

 Il commovente racconto dell’amore incrollabile di una

famiglia e il rapporto tra un padre e un figlio.

Tratto da una storia vera di redenzione e coraggio.

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Martedì 28 maggio a Milano, al Cinema Colosseo, Sala Biografilm presenta l’anteprima di BEAUTIFUL BOY, in versione originale sottotitolata, con Steve Carell, Timothée Chalamet e Maura Tierney. Dopo il successo di Alabama Monroe, con il quale è stato candidato all’Oscar per il miglior film straniero, il regista belga Felix Van Groeningen dirige una storia familiare intensa e commovente. Il film parte dal romanzo di Nic Sheff, il ragazzo che ha raccontato la sua odissea personale tra le droghe, e da quello di suo padre David, che ha ricordato le peripezie per provare a salvare il figlio. I protagonisti sono Steve Carell, che interpreta David Sheff, e Timothée Chalamet, giovane stella scoperta recentemente con Chiamami Col Tuo Nome. Il film, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma nel 2018, ha ricevuto una candidatura ai Golden Globes per il migliore attore non protagonista.

Il film sarà nelle sale italiane dal 13 giugno 2019, distribuito da 01 DISTRIBUTION.

BEAUTIFUL BOY

BEAUTIFUL BOY di Felix Van Groeningen

CODICE DI SCONTO

Inserendo il codice BB28PR sul sito biografilm.it/boy sarà possibile ottenere una riduzione sul costo dell’ingresso, da 9,50 a 6 euro

Nicolas Sheff ha 18 anni ed è un bravo studente: scrive per il giornale della scuola, recita nello spettacolo teatrale di fine anno e fa parte della squadra di pallanuoto. Ama leggere e possiede una spiccata sensibilità artistica; in autunno andrà al college. Da quando ha 12 anni però, ama sperimentare le droghe; da qualche tempo ha provato la metamfetamina e, come lui stesso dichiara, “Il mondo, da bianco e nero, improvvisamente è diventato in Technicolor”. In breve tempo Nic, da semplice adolescente che fa uso sporadico di stupefacenti, si trasforma in un vero e proprio tossicodipendente.

Beautiful Boy è la storia, tanto onesta quanto spietata, di una famiglia che accompagna il proprio figlio nella lotta contro l’assuefazione. Basato sull’omonimo bestseller del noto giornalista David Sheff e sull’apprezzata autobiografia di suo figlio Nic, il film descrive il potere distruttivo della droga e la forza rigenerante dell’amore.

Angosciante, struggente, ma anche ricco di gioia, di amore e di speranza, Beautiful Boy racconta il baratro in cui Nic sprofonda, le sue assenze, le promesse tradite, la rabbia, e il modo in cui David si adopera per salvare il suo “bellissimo figlio” dalle conseguenze della dipendenza.

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La Redazione

Comunicato stampa: Biografilm/Echo Srl

Dolceroma – La Recensione

https://www.youtube.com/watch?v=efQyYfWiUZY

Boom!

Andrea Serrano, giovane scrittore squattrinato (Lorenzo Richelmy), riceve inaspettatamente una chiamata da Oscar Martello (Luca Barbareschi), un famoso produttore romano che vuole fare un film tratto dal suo libro. Inizierà per Andrea una serie di rocambolesche avventure nel mondo del cinema e della criminalità organizzata.

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C’è un espressione, turn to to eleven, presa in prestito dal film This Is Spinal Tap del 1984, e significa portare le cose all’estremo, al massimo della loro potenza. Il film diretto da Fabio Resinaro, per la prima volta senza il sodale Fabio Guaglione, parte esattamente così sparando tutto al massimo. Dolceroma parte con il botto.

La solida regia di Fabio Resinaro, che conosce a memoria stilemi e cliché dei generi e li usa con perfetta cognizione di causa nei momenti in cui servono, e il serratissimo montaggio di Luciana Pandolfelli rendono Dolceroma un film realmente competitivo, capace di non sfigurare nello stile accanto ad altri prodotti internazionali come RocknRolla di Guy Ritchie oppure Kiss Kiss Bang Bang di Shane Black.

La promessa di intrattenimento puro che viene fatta nel trailer, il film la mantiene. Ci si riesce davvero a divertire con una messa in scena a tratti grottesca, ma efficace, e riusciranno a divertirsi persino i cinefili più restii, in un continua parodia dell’ambiente cinematografico.

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Si avverte un calo fisiologico nella seconda parte, ma subitola pellicola torna in carreggiata con un finale esplosivo in senso proprio e figurato. La trama che corre tesissima per tutti i 105 minuti di durata è tratta dal romanzo del 2015 di Pino Corrosa Dormiremo Da Vecchi, ed proprio il fatto di essere tratta da un romanzo che rende compatta e coerente la struttura narrativa del film nonostante i numerosi cambi di tono. Senza una trama così densa di avvenimenti e così strutturata, sarebbe stato difficile rendere credibile un lungometraggio che spazia dalla parodia sociale al gangster movie con delle venature thriller, senza dimenticare spunti da commedia.

Lorenzo Richelmy si conferma uno degli attori più in ascesa del nostro cinema, ma il vero mattatore in questa pellicola è Luca Barbareschi, che interpreta un produttore ma è a sua volta produttore nella finzione cinematografica; il suo Oscar Martello è a metà tra Massimo Ferrero e Gianluca Vacchi.

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Un’ultima nota positiva sta nel fatto che film di questo genere non vengano più considerati una coraggiosa eccezione nel panorama italiano ma comincino ad essere considerati la norma. Dolceroma non è l’unico che si serve di una narrativa esagerata eppure coerente: ne è un precedentel’opera del 2017 di Cosimo Gomez, Brutti e Cattivi, un ulteriore tassello in un cinema di genere che merita di essere alimentato in continuazione.

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Dolceroma è dal 4 Aprile al cinema.

Anna Antenucci

Info

Titolo: Dolceroma

Durata: 105'

Data di uscita: 04 aprile 2019

Regia: Fabio Resinaro

Con: 

Lorenzo Richelmy, Luca Barbareschi, 
Claudia Gerini, Francesco Montanari

Distribuzione: 01 Distribution

Il Primo Re – La Recensione

Rivincita Italiana

Prima dell’Impero capace di conquistare terre e popolazioni di ogni dove, prima delle battaglie dei centurioni e delle grandi spedizioni, la storia ricorda due fratelli, i cui destini rimarranno inesorabilmente legati fino alla creazione di quella che un giorno sarà la Città Eterna. Questa è la storia di Romolo e Remo. «Questa è Roma».

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È inutile negarlo: da diversi decenni a questa parte, le produzioni italiane sono raramente viste come degne concorrenti di quelle straniere, soprattutto quando si tratta di affiancarle a quelle Made in Hollywood, e specialmente nel caso del cinema di genere.

Perché allora rischiare tanto con Il Primo Re?

«L’idea nasce – insieme ad Andrea Paris, che ha prodotto con me il film, e assieme agli sceneggiatori (Filippo Gravino e Francesca Manieri) – dalla volontà di cercare una storia che avesse ovviamente un sedimento nella nostra cultura, nel nostro passato, ma che allo stesso tempo tempo fornisse l’occasione per realizzare questo tipo di racconto: un racconto fortemente cinematografico, con tante chiavi di lettura, ma anche con elementi action spettacolari che spesso, appunto, in Italia non vengono adoperati, ma come invece ha fatto la nostra cinematografia in Veloce Come Il Vento. Nelle maniere più diverse, in Italia il genere è sempre esistito. Questo film forse è qualcosa di più, nel senso che utilizza il genere per parlare e per realizzare un racconto complesso, sentimentale, che ci parla del presente; però in qualche modo senza perdere la sua italianità, nel senso che è un film realizzato con capitali provenienti da tutto il mondo, però in Italia, da maestranze italiane, con una costruzione produttiva basata e realizzata dal nostro paese. Il mio auspicio è che possa essere un elemento in un percorso di rinnovamento nella nostra cinematografia perché credo che, forse, esiste (speriamo) un pubblico che abbia voglia di vedere storie diverse» spiega il regista, Matteo Rovere, in conferenza stampa.

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Da questo punto di vista, Il Primo Re centra sicuramente l’obbiettivo, provando, con grande maestria, come anche l’Italia – un tempo tra i maggiori produttori di kolossal cinematografici, come Cabiria, La Caduta Di Troia e Quo Vadis? – possa aspirare (nuovamente) a “viaggiare tra le stelle”, magari creandosi una galassia tutta sua.

Una galassia di cui Romolo (Alessio Lapice) e Remo (Alessandro Borghi) potrebbero essere gli iniziatori, come di Roma furono i fondatori. I due, legati dal filo rosso del destino e sottoposti, volenti o nolenti, alla crudeltà – o benevolenza, che dir si voglia – degli antichi Dei (o, se non altro, alla convinzione di essa), fungeranno da archetipo – come sostiene anche la Manieri – che caricherà di una forza tale la storia, da far sì che la parola vada «in sottrazione».

Il proto-latino utilizzato per i dialoghi – ricostruito grazie ad una ibridazione tra indoeuropeo e ciò che si aveva di un latino “fon-dativo, pre-romano” – scandisce le poche, essenziali battute della pellicola, conferendo un’aurea di misticità e autenticità al racconto. Non lasciatevi spaventare dall’assenza della lingua italiana come la conosciamo oggi. A parlare saranno i volti, gli sguardi, i gesti, le azioni dei personaggi – abilmente interpretati da alcuni tra quelle che possiamo definire senza indugi le promesse del cinema italiano -; la presenza della natura, del paesaggio circostante si avvertirà prepotente e condannatrice; la fede, le credenze, le convinzioni di un popolo che non ancora poteva definirsi tale, ma che apprenderà come questa sia l’unica modalità di sopravvivenza, asserirà tutto ciò che c’è da asserire.

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«Ero terrorizzato all’idea di recitare in (proto)latino. Quando Matteo mi ha detto “guarda vorrei farlo in proto-latino” ho risposto “vabbè… facciamolo in proto-latino…”» racconta Borghi con sguardi eloquenti. «Ci siamo confrontati tantissimo, ogni cosa è stata oggetto di lunghe chiacchierate tra me, Matteo e Alessio […] Penso anche al finale del film. C’erano un milione di modi diversi di raccontarlo, e farselo raccontare, alla fine abbiamo scelto questa chiave […] C’è stato un lavoro molto attento. Matteo è completamente matto. Sa tutto, qualunque cosa, e te la argomenta sempre in una maniera tecno-didattica. Roba che tu stai lì e dici “oddio, che cosa ha detto adesso?”. Una cosa brutta, davvero» continua scherzando «però poi serve. E la lingua è diventata, secondo me, una delle chiavi fondamentali di questo film. Adesso non posso assolutamente immaginarlo recitato in un’altra lingua; è impossibile».

Se quindi verosimiglianza – anche in fatto di ricostruzione storica -, credibilità ed intensità sono i punti forti de Il Primo Re, un piccolo appunto va necessariamente fatto alla rapidità d’esecuzione di alcune scene chiave, in cui avremmo forse preferito vedere dei cambiamenti meno repentini a livello comportamentale e di sviluppo caratteriale; ma che, tuttavia, al fronte della modalità di realizzazione dell’intera opera, non ne inficia il risultato finale.

Osate, dunque, come hanno osato coloro che hanno creduto in questo progetto. Credete nella produzione italiana, e credete in questa produzione italiana. Che, nel peggiore dei casi, sarà un’utile lezione di storia. Della nostra civiltà, ma anche del nostro cinema.

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Il Primo Re, prodotto da Groenlandia, Rai Cinema e Gapbusters, in associazione con Roman Citizen e distribuito da 01 Distribution sarà al cinema dal 31 Gennaio.

Laura Silvestri

Info 

Titolo Originale: Il Primo Re

Durata: 119'

Data di Uscita: 31 Gennaio 2019

Regia: Matteo Rovere

Con: 

Alessandro borghi, Alessio Lapice, 
Tania Garebba 

Distribuzione: 01 Distribution