Giffoni 55, BigMama: “Ci vorrebbe maggiore empatia per rendere il mondo un posto con più luce”

BigMama torna a Giffoni per parlare con la stampa di cio che è, è stato, e che sarà, e lo fa con il suo caratteristico carisma.

Al Giffoni Film Festival non si parla solo di cinema, ma c’è spazio per l’arte tutta, e la musica non fa certo eccezione. E se guardiamo al panorama musicale nostrano, c’è una cantante che con il Giffoni ha davvero un rapporto particolare.

Marianna Mammone in arte BigMama, ospite della kermesse il 21 luglio, esordisce in conferenza stampa raccontando il suo forte legame con il festival: “Per me Giffoni rappresenta una delle tappe più importanti della mia vita, sicuramente la prima in assoluto, perché il mio primo concerto l’ho visto a Giffoni: era il film festival del 2013 e c’era questo concerto di Ensi, Clementino e Salmo. All’epoca non ascoltavo quel genere di musica, sentivo più pop inglese (ascoltavo i One Direction!) mentre il rap lo sentiva mio fratello, e anzi gli chiedevo sempre di toglierlo quando lo metteva” racconta “Però mia madre mi disse che mio fratello da solo al concerto non ce lo mandava, per cui andai anche io. Ma durante il concerto io rimasi assuefatta da quello che vedevo… Per me c’è un prima e un dopo quel concerto. Tornata a casa, il giorno dopo, mi misi a vedere a ripetizione i video che avevo fatto sul cellulare, soprattutto quelli di Salmo. Lui diventò il mio idolo, e lo è ancora, e lo ascolto anche tutti i giorni. Il modo di scrivere nei suoi testi la rabbia che aveva, il modo in cui era capace di buttarla fuori – e io avevo bisogno di buttare fuori molta rabbia – mi ha insegnato e mi ha spinto a scrivere“.

Oggi la rabbia c’è sempre, ma non è più così nociva per la mia mente come lo era una volta. Prima la rabbia la riversavo tutta su me stessa, punendomi in un certo senso, ma ad oggi non la provo più nei miei confronti. Cerco di non riversarla su nessuno. Ok, sono arrabbiata per i fatti miei, ma questa cosa non avrà nessuna ripercussione né su di me, né su chi mi circonda. E credo che questo sia il modo più giusto per provare emozioni forti come la rabbia, che sono difficili da trattenere. Da un certo punto di vista, è cambiato proprio il mio approccio nei confronti di queste emozioni, e la canzone ‘La Rabbia non ti basta‘ ha voluto proprio mettere un punto: nel senso che non devi arrabbiarti con te stessa, perché quando vuoi fare una cosa alla fine pian piano ci riesci. E riuscire a portare questo messaggio sul palco più grande d’Italia per me è stato fondamentale; è stata una carezza alla Marianna bambina che ha dovuto sopportare quello che ha sopportato e una carezza alla Marianna di oggi che aveva bisogno di quel palco e che aveva bisogno di far ascoltare la propria voce”.

Ma, aggiunge, “la Marianna di adesso si rende conto che tutto questo non è bastato, nel senso che abbiamo fatto dei passi avanti, soprattutto in quel periodo, ma una volta caduta quell’immagine che loro volevano vedere di una donna spezzata che aveva avuto la sua rivincita romantica, e hanno visto invece una donna che ha il coraggio di fare quello che vuole e di essere se stessa… Questa cosa gli ha dato molto fastidio. E lì ho capito che forse devo fare molto, molto lavoro” ricordando la volta in cui a un concerto si presentò, invece che come “la ragazzina bullizzata”, da donna consapevole e, scandalo degli scandali, con un costume di scena in cui si vedevano le gambe (tra l’altro, precisa, quelli erano in realtà leggings color carne).

Dopotutto, la vita di questi tempi non è facile per nessuno: “In questo preciso momento stiamo facendo leva sul potere che ha l’odio. Tutta la politica del momento adesso è basata nell’effettivo sull’odio, e arriva molto forte anche qui. Me ne rendo conto anche dalle cose più piccole, come chi utilizza l’odio sui social, e dalle cose più grandi, come chi preferisce non votare o ha degli schieramenti tutti strani e particolari” spiega “Penso però che il mondo prima o poi avrà il suo ricambio, e che dopo ogni periodo buio ci sia sempre un periodo di luce. E quindi sono sicura che fare leva sulle nuove generazioni in questo modo, i ragazzi che hanno tanto da dire, è qualcosa che un domani porterà ad avere un mondo sicuramente migliore, soprattutto dal punto di vista dell’empatia, perché è quella che manca“.

Quindi secondo me diventare, anzi, ritornare umani – perché umani purtroppo ci si nasce, ma poi se prendi le strade sbagliate si diventa altro – è possibile nel momento in cui da genitore riesci a passare ai tuoi figli un qualcosa che abbia senso, a insegnare il rispetto, l’amore, l’empatia“.

Ma cosa c’è nel futuro di BigMama? Magari uno stint da conduttrice? “A me piace tantissimo uscire un po’ dalla mia comfort zone. Ormai nella mia testa dico ‘Sì le canzoni le so scrivere, ma voglio vedere cos’altro so fare!’. E la cosa bella – e per questo ringrazio anche chi mi ha chiamato a fare trasmissioni in televisione – è proprio il fatto che accettano il mio modo di essere spontanea. Cioè io proprio prendo il copione e faccio ‘Ok’, e lo butto. Mi piace andare a braccio, perché sono più naturale, e quella cosa mi rende più me. Marianna è quello, capite, e se fossi più costruita forse farei altro nella vita. Per cui la televisione mi intriga tanto, e anche quando ho fatto l’esperienza dell’Eurovision, io mi sono divertita dal primo giorno all’ultimo, per me è stato bellissimo. Quando sono arrivata a Basilea sembravo una bambina al luna park. Sono strafelice, e questa cosa si deve vedere. Anche perché è un po’ un grande tratto distintivo della mia generazione, siamo caotici, ed è bellissimo da vedere“.

Sto progettando di fare cose nuove, perché è un mondo che vorrei scoprire di più però la mia priorità è rimanere nella musica, per cui c’è un momento in cui devo scrivere e fare concerti, e poi quando ho più tempo, come quest’anno che ne ho avuto modo, ho detto ‘Andiamo in televisione e vediamo come va’. E devo dire che è andata bene, quindi ora mi dovrei fare tipo 6 mesi da una parte e 6 dall’altra… E in vacanza? Mai!” conclude scherzando.

Foto e articolo di Laura Silvestri

Mistify: Michael Hutchence – #RFF14

Richard Lowenstein firma questa preziosa testimonianza, presentata all’ultima Festa del Cinema di Roma, e dedicata al carismatico leader di un gruppo oggi forse un po’ dimenticato dal grande pubblico, ma parte della storia musicale degli anni novanta, gli INXS: parliamo di Michael Hutchence. Grande amico del cantante, il regista ha firmato anche molti dei loro video musicali, ed è pienamente percepibile la sintonia che riesce a scaturire da questo lungometraggio, giocando sul connubio tra la semplicità e le mille sfaccettature di un’anima difficile.

Chi è Michael Hutchence? Di origini australiane, nato il 22 gennaio 1960, veniamo introdotti dalle immagini sullo schermo alla sua infanzia e adolescenza in giro per il mondo, soprattutto in seguito alla separazione dei genitori; poi arriva il primo album con gli INXS, in cui è la sua voce calda e potente a fare la differenza; poi il successo; poi le varie pressioni mediatiche.

Interamente composto da immagini di repertorio, relegando al fuori campo le voci di chi lo ha conosciuto e amato, e ne conserva il ricordo ancora oggi; e così c’è la vacanza in Italia con la collega e compagna Kylie Minogue, uno dei grandi amori della sua vita; c’è la nascita della figlia Tiger Lily, le confessioni, le insicurezze (sia a livello artistico che emotivo), l’essere ancora incompleti, in cerca di definizione, mentre il resto del mondo sembra avergli già dato un’etichetta precisa.

C’è un momento preciso in cui questo documentario sveste i panni della “biografia” per tuffarsi in acque ben più trascendentali: succede quando, a causa dei gravi traumi procurati dall’aggressione di un tassista, il cantante perde l’olfatto e il gusto; proprio lui, che aveva amato alla follia Profumo, il romanzo di Patrick Süskind, lui, pervaso dalla voglia di gustarsi la vita al massimo. Da quel momento, del resto, la sua stessa vita non sarà più la stessa, così come i suoi modi di fare, quasi si fosse spezzato un incantesimo; così si è gradualmente portati a pensare che il suo gesto estremo, la morte per asfissia, fosse assolutamente premeditato; un gesto forse emblematico di quel disordine interiore sempre presente in lui, ma sicuramente acuitosi nell’ultimo periodo della sua giovane vita.

Un uomo che, sul palco e al di fuori, stregava chiunque con la sua sensualità e il suo conseguente sex appeal, nascondeva un ragazzo dolce e troppo fragile per il mondo dello spettacolo, totalmente distante dall’immagine tipica della rock star aggressiva e sregolata.

Mistify: Michael Hutchence è un documentario inconsueto e inaspettato, nella misura in cui diventa preponderante l’aspetto introspettivo più intimo dell’artista, lasciando in secondo piano gli aspetti legati figura pubblica che la sua carriera musicale ha contribuito a plasmare – un po’ come lo stesso Hutchence avrebbe certamente voluto. 

Cristiana Carta

Attraverso i Miei Occhi – La Recensione 

“Sii la persona che il tuo cane crede tu sia” 

Denny è un aspirante automobilista di formula 1, che da’ il massimo per raggiungere risultati soddisfacenti anche facendo grandi sacrifici; si troverà a dover affrontare sacrifici ancor più grandi quando con la sua amata Eve formerà una famiglia… per fortuna c’è il suo cane, Enzo!

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Diciamocelo molto chiaramente: questo è l’anno in cui gli schermi cinematografici sembrano essere ossessionati da narrazioni il cui punto fondamentale si rivela essere lo sguardo verso il passato, con gli occhi di chi è giunto al tramonto della vita, dall’alto di tutte le consapevolezze assimilate nel corso del tempo.

In questo caso il protagonista è nientemeno che un cane, Enzo (doppiato in origine da Kevin Costner, mentre nella versione italiana troviamo Gigi Proietti), che viene adottato da cucciolo, come per volere del destino, da Denny Swift (Milo Ventimiglia), un automobilista in cerca della gara giusta che gli permetta di sfondare nei grossi circuiti (e, come da subito si intuisce, il nome del cane richiama proprio quello di Enzo Ferrari, grandissima ispirazione per lui).

Le cose potrebbero leggermente complicarsi quando nella loro vita entra Eve (Amanda Seyfried); inizialmente, Enzo dimostra un po’ di gelosia nei confronti della “nuova arrivata”, ma arriveranno presto a comporre un vero e proprio nucleo familiare, rafforzato dalla nascita della loro figlioletta, Zoe. Il cane stesso ci narrerà, attraverso i suoi pensieri fuori campo, il suo vissuto, di conseguenza narrandoci quello di Denny, costellato tanto da gioie quanto da occasioni sprecate e decisioni dolorose e sofferte.

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La pellicola è ispirata al romanzo di Garth Stein, best seller del New York Times per ben 40 settimane, “L’arte di correre sotto la pioggia”; correre sotto la pioggia è davvero un’arte a tutti gli effetti e – come Denny insegna – un’arte in cui l’elemento fondamentale è tenere gli occhi sempre oltre la prossima curva, oltre le difficoltà, ed imparare a crearsi “le proprie condizioni”.  

Purtroppo, a non convincere più di tanto è proprio il fatto che le massime di vita del quale il film è imbevuto provengano tutte quante dal voice over del cagnolone di casa: ammette di non saper parlare, ma quello che percepisce lo spettatore è un intelletto fin troppo acuto, un lessico fin troppo forbito, e la pellicola combatte con il rischio di perdere la forza narrativa.

In definitiva, Attraverso i miei occhi può ritenersi una commedia dai toni drammatici abbastanza pregevole, pur nei suoi limiti, leggera e farcita di buoni sentimenti, ma tutt’altro che sciocca; utilizzando a livello metaforico i concetti relativi alle corse automobilistiche, cerca di porre riflessioni sul rimanere sempre concentrati verso i propri obiettivi, sulla fedeltà e sul valore del bene incondizionato e disinteressato.

Conferenza con Gigi Proietti

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Alla conferenza stampa, Gigi Proietti, ci racconta del valore metaforico di questo film, nel quale presta la voce al cane protagonista, il suo rapporto con gli animali (compresi esilaranti aneddoti tra piccioni e merli indiani), con le automobili e dice la sua sull’industria cinematografica odierna.

«Un film metaforico, anche se così commovente. Una metafora che fa capire come sarebbero più facili i rapporti, come in questo tra Enzo e il padrone, in cui c’è soltanto lealtà e fedeltà., la voglia che il proprio amico stia bene, perché bene significa volere per davvero il bene dell’altro»

Scegliendo Proietti hanno dato alla narrazione di questo particolare punto di vista (il cane che per forza di cose non può esprimersi verbalmente), con la sua voce, tutta la saggezza di chi inizia il suo racconto da anziano; lo stesso dichiara però di non sentirsi veramente sicuro di avere questa saggezza: «sarebbe bello se ce l’avessi». 

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Non ci si aspetta che, ad un certo punto, siano i nonni a diventare antagonisti della storia: «è un film indubbiamente originale, come anche il fatto che si parta dalla fine». 

Parlando di doppiaggio: «ci sono state delle grandi voci italiane che, risentendo poi l’attore americano non doppiato, in originale, rimani deluso».

«Io amo molto gli animali”, racconta in seguito, “addirittura ho avuto un piccione! Un piccione che mia moglie comprò a Ponza… lo portammo a Roma, ma non volava! l’abbiamo chiamato Porototo. E si comportava proprio come un cane!».

Per quanto riguarda il rapporto con le automobili e con la velocità: «Zero! Non sono un patito di automobili, lo sanno tutti. Mi avevano regalato, una volta, un SUV! Mi sembrò di essere l’autista di un pullman, a Roma un SUV è come una bestemmia! ‘Ndo lo metti? E allora l’ho dato via… non ho la passione per le macchine, onestamente».

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Oggi il cinema è sicuramente in un momento di forte trasformazione: «il cinema , oggi si sta televisivizzando. un film rimane in sala solo pochi giorni. Il cinema italiano, tolta qualche eccezione, ha sempre storie un po’ piccole, a volte fatte anche bene… ci sono dei buoni attori! Ma per le storie, ti accorgi che un film di un’ora e mezza potrebbe benissimo durare solo tre quarti d’ora».

La conferenza si conclude, poi, con una tragicomica rivelazione sul destino del “piccione domestico”, che non può non strappare un’ultima risata e un ultimo applauso di congedo.

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Attraverso I Miei Occhi sarà dal 7 novembre al cinema.

Cristiana Carta

Info

Titolo Originale: The Art of Racing in the Rain

Durata: 108’

Data di Uscita: 7 novembre 2019

Regia: Simon Curtis 

Con: 

Amanda Seyfried, Kevin Costner (voce), 

Milo Ventimiglia, Kathy Baker

Distribuzione: 20th Century Fox
Materiali Stampa: 20th Century Fox, Google Immagini

Western Stars – #RFF14

Sullo schermo, un serafico Bruce Springsteen che ci appare come il saggio cantastorie per eccellenza, di quelli che sanno dare sempre un ottimo consiglio, se li si sa ascoltare; nelle orecchie, parole e armonie che scaldano il cuore, lasciando in cambio dolorose scottature; in maniera quasi miracolosa, Western Stars è la perfetta evocazione, sotto tutti gli aspetti possibili, di quest’ultimo e omonimo album del Boss, racchiudendo al suo interno, senza temere smentita, la vita nella sua piena interezza e complessità.

Tredici tracce, tredici racconti attorno al fuoco (o meglio, alla luce soffusa di un granaio alla vecchia maniera); la voce icona di intere generazioni sostenuta non solo da una sontuosa orchestra ma anche dalla compagna di sempre, l’amata moglie Patti Scialfa, che sembra ricordare elegantemente che dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna; come ultimo tocco, una regia, in collaborazione con l’amico Thom Zimny, prepotentemente affascinante, piena di colori vivi e vastità bucolica.

I personaggi che Springsteen porta in vita – lo stuntman che rincorre l’ignoto, quel ragazzo che fugge da un amore mal finito, la star caduta ormai in disgrazia – ci raccontano tantissimo di lui e del suo vissuto, ma soprattutto ci raccontano di noi, di ciò che siamo e potremmo essere in quanto individui.

Ogni singolo brano riesce ad avere un suo mondo ben definito, ed allo stesso tempo tutti insieme compongono un immaginario comune, unico ed estremamente coeso, fatto di lunghi tragitti in auto, cuori spezzati e passati turbolenti che sottotraccia inneggia all’importanza della fiducia, al bisogno di avere fede e al coraggio di aprirsi un varco al di fuori della solitudine; ma è un inno soprattutto all’essenza americana – pur andando, certo, al di là dei confini.

Più che un film un’esperienza, un’occasione di raccoglimento in grado di produrre tante risposte quante domande, e di spostare l’asticella dell’attenzione verso gli aspetti più essenziali e genuini della vita, al di fuori della frenesia che attanaglia tutti i nostri giorni.

Cristiana Carta

Rocketman – La Recensione

Elogio al Talento e alla Follia

La vita di Reginald Dwight e la carriera di Elton John si fondono sul grande schermo in un film folle e travolgente, proprio come il suo protagonista. 

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Per chi se lo stesse chiedendo, non ci saranno riferimenti a Bohemian Rapsody in questo pezzo. Oltre al fatto di condividere genere (biopic musicale) e regista, i due film vanno visti come entità totalmente separate, e continuare imperterriti in un paragone tra le parti non sarebbe giusto nei confronti di nessuna delle pellicole in questione.

Detto questo, permetteteci di andare avanti ed elogiare quello che secondo noi è un più che riuscito tentativo di portare sul grande schermo la complicata quanto affascinante vita dell’iconico cantautore londinese, Sir Elton Hercules John, all’anagrafe Reginald Kenneth Dwight.

Rocketman esplora non solo l’aspetto professionale, ma anche e soprattutto il profilo personale di John, dando a vedere quanto il secondo abbia influenzato e dato forma – volente o nolente – al primo, con tutte le mancanze, le insicurezze e i traumi che ha dovuto sopportare fin da bambino. Partendo da un padre indifferente e disinteressato e da una madre egocentrica e fin troppo schietta (davvero degna di nota la prova attoriale di Bryce Dallas Howard), andando avanti con il peso del proprio essere “diverso” dagli altri ragazzi, del possedere una certa “stramberia” dal carattere inespugnabile, fino al sentirsi completamente solo anche quando circondato da centinaia di persone – grazie anche ai continui tradimenti del suo manager/amante John Reid (Richard Madden) una volta raggiunta la fama -, Reggie (interpretato da uno strabiliante Taron Egerton) prova incessantemente a gettarsi tutto alle spalle, in modo da poter costruire questa sorta di bizzarro personaggio il cui superpotere risiede nella sua unicità.

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«Devi cancellare chi sei per divenire chi vuoi essere davvero», gli viene detto a un certo punto nel film. E Reggie si convince che è così stanno davvero le cose: che, nonostante il talento, quel ragazzo dai buffi ma timidi modi di fare che intonava un’ancora abbozzata Your Song seduto al pianoforte di casa non potrà mai sfondare senza qualche piccolo cambiamento, senza scendere a compromessi. Soltanto che le mezze misure non sono mai state nel suo stile, e mai lo saranno… È cosi che Elton – come verrà conosciuto in tutto il mondo – si farà presto prendere la mano dall’esilarante euforia generata dalla fama, dai soldi e dallo showbiz, e cadrà in una spirale di alcool, droga e comportamenti al limite (e spesso oltre) dell’accettabile, che lo farà definitivamente precipitare nell’oblio più oscuro.

Fletcher e il suo team sono abili nel raccontare tutto questo attraverso colori sgargianti, sequenze psichedeliche e rocambolesche, esagerate come lo è il loro soggetto, con vistosi costumi ed elaborate coreografie. Ma mostrano anche una certa destrezza nel dare una visione più discreta, intimistica di Dwight, quando necessario. E, ovviamente, le musiche più familiari dell’artista sono astutamente inserite in momenti chiave della pellicola, pronte a contrassegnarne le tappe fondamentali.

Perché una Tiny Dancer nel momento in cui crede di aver perso l’indivisa attenzione di Bernie, l’amico di sempre – un Jamie Bell capace di giocarsela quasi a pari merito con Egerton in quanto a presenza scenica – o una Goodbye Yellow Brick Road nell’ultimo atto, a mo’ di saluto a sé stesso, a ciò che era diventato e che deve ora abbandonare per poter tornare alle origini, non possono non catturare e raggiungere lo spettatore – fan o meno del cantante -, (in)trattenendolo in un mondo fatto sì di piume, brillantini e assurdi occhiali da sole, ma anche di vere, forti e tangibili emozioni.

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Rocketman sarà nelle sale italiane a partire dal 29 Maggio.

Laura Silvestri

 


Info



Titolo: Rocketman



Durata: 121'



Data di Uscita: 29 Maggio 2019



Regia: Dexter Fletcher



Con:


Taron Egerton, Richard Madden


Bryce Dallas Howard, Jamie Bell 



Distribuzione: 20th Century Fox

Rocketman – Il Focus Sui Costumi Del Film In Una Nuova Featurette

Nuove esclusive immagini dell’attesa pellicola dedicata alla storia di Elton John, Rocketman: si tratta degli straordinari abiti e accessori che colorano le memorabili scene del film che sarà presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes.

“Da timido pianista prodigio, Reginald Dwight diventerà una superstar internazionale: Elton John. La sua incredibile storia raccontata sullo schermo è accompagnata dalle sue canzoni più amate, più cantante che lo hanno reso una delle figure più iconiche della cultura pop.”

In sala dal 29 maggio distribuito da 20th Century Fox, il film è diretto da Dexter Fletcher e interpretato da Taron Egerton, Bryce Dallas Howard, Richard Madden e Jamie Bell.

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La Redazione

Materiali Stampa: 20th Century Fox

Homecoming: A Film By Beyoncé – Da Oggi Su Netflix

Da oggi è disponibile su Netflix Homecoming: A Film By Beyoncé, un film interamente dedicato alla celebre performance di Beyoncé in occasione del Coachella Music Festival del 2018, un omaggio ai college e alle università storicamente frequentate da persone di colore negli Stati Uniti (HBCU).

Partendo dal concetto creativo all’origine dello show, talmente grande da generare un movimento culturale, Homecoming rivela il percorso emotivo dietro a questa incredibile performance tramite immagini straordinarie e interviste di approfondimento.

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Homecoming è anche un album live  disponibile sempre da oggi in digitale per Parkwood Entertainment e Columbia Records.

 

In qualità di prima donna di colore ad aprire il Coachella Festival, in Homecoming Beyoncé omaggia i visionari rappresentanti della cultura afroamericana che sono stati per lei fonte d’ispirazione, tra cui gli alunni HBCU Toni Morrison e Alice Walker, l’attivista Marian Wright Edelman e i ricercatori W.E.B. Du Bois, oltre a luminari della cultura come Nina Simone, Maya Angelou, Chimamanda Ngozi Adichie e Audre Lorde. Alla base del desiderio di Beyoncé di celebrare l’importanza delle HBCU suo padre Mathew Knowles, alunno della Fisk University.

 Girato nel corso di otto mesi, il film segue la star della musica mondiale nel momento in cui torna sul palco dopo la nascita dei suoi gemelli, prestando particolare attenzione alla sua preparazione personale. La rivoluzionaria performance ha richiesto quattro mesi di prove musicali, seguite da quattro mesi di prove di danza, che hanno coinvolto oltre 150 musicisti, ballerini e personalità creative – tutti scelti in prima persona dall’artista stessa.

Nel destreggiarsi tra due ruoli, regista sia della sua live performance che del film che ha ripreso il processo che porta alla sua realizzazione, Beyoncé ha affermato:

«È stato uno dei lavori più difficili che abbia portato a termine ma sapevo che dovevo spingere me stessa e il mio team oltre i limiti, l’obiettivo era il passaggio da fantastico a leggendario. Sapevamo che niente del genere era mai stato realizzato in un festival musicale, la performance doveva essere iconica, oltre ogni possibile paragone. Lo show era un omaggio ad un’importante parte della cultura afroamericana. Doveva essere fedele per chi già conosceva la sua storia, ma al tempo stesso divertente e illuminante per le persone che invece avevano ancora bisogno di imparare. Durante la realizzazione del film, raccontando questa storia una seconda volta, il proposito è rimasto esattamente lo stesso».

Molti cantanti e ballerini del cast sono stati studenti HBCU, cresciuti nella tradizione delle marching band tipiche di questi istituti e si sono uniti al gruppo di performer che si esibiscono al fianco di Beyoncé da anni. Dal documentario emergono l’intensità delle prove di danza e il talento di questi artisti, è inoltre possibile assistere al viaggio personale che li porta dall’essere normali studenti HBCU all’esibizione, che non dimenticheranno mai in tutta la loro vita, su un palco importantissimo e dall’alto valore storico come quello di Beyoncé.

«Moltissime persone con grande ricchezza culturale e intellettuale sono diplomate alle HBCU, tra loro anche mio padre», racconta Beyoncé nel film, «c’è qualcosa di incredibilmente importante all’interno dell’esperienza HBCU, che deve essere celebrato e protetto».

Come premio per i fan, nel film è presente sui titoli di coda la versione di Beyoncé di “Before I Let Go” di Frankie Beverly e Maze, un classico R&B del 1981, che viene spesso proposto ai giochi delle HBCU.

Set List

“Crazy In Love”

“Freedom”

“Lift Ev’ry Voice And Sing”

“Formation”

“Sorry”/”Me, Myself and I”

“Kitty Kat”

“Bow Down”

“I Been On”

“Drunk In Love”

“Diva”

“Flawless” (Remix)

“Feeling Myself”

“Top Off”

“7/11”

“Don’t Hurt Yourself”

“I Care”

“Partition”

“Yoncé”

“Mi Gente (Remix)”

“Mine”

“Baby Boy”

“You Don’t Love Me (No, No, No)”

“Hold Up”

“Countdown”

“Check On It”

“Déjà Vu”(featuring JAY-Z)

“Run the World (Girls)”

“Lose My Breath” (featuring Kelly Rowland and Michelle Williams)

“Say My Name” (featuring Kelly Rowland and Michelle Williams)

“Soldier” (featuring Kelly Rowland and Michelle Williams)

“Get Me Bodied” (With Solange Knowles dancing)

“Single Ladies (Put a Ring on It)”

“Love On Top”

Homecoming: A Film By Beyoncé è diretto e prodotto dalla stessa Beyoncé Knowles-Carter, aiutata alla regia dal collaboratore di lunga data Ed Burke. Steve Pamon e Erinn Williams sono produttori esecutivi.

La Redazione

Comunicato e materiali stampa: Netflix Italia